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La parabola delle nozze

Ogni carne riconoscerà che io, il Signore, sono il tuo Salvatore, il tuo Redentore
Isaia 49, 26

Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio. E i servi, usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni; e la sala delle nozze fu piena di commensali
Matteo 22, 2; 10

Giorni fa, si parlava di questo testo biblico tratto dal vangelo di Matteo durante uno studio biblico ecumenico. Ci si chiedeva: qual è il senso del pover’uomo cacciato perché non ha l’abito da nozze? La sala è piena di brava gente e di criminali, possibile che Dio se la prenda con il vestito? A domanda del re, l’invitato “vestito male” tace, e viene sbattuto fuori. Il testo chiosa “Poiché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. Forse è l’abito, ovvero l’abitudine, il punto. Siamo chiamati da Dio, sebbene non risultiamo nella lista degli invitati. Siamo stati invitati tutti e tutte, poveri e ricchi, buoni e cattivi, ma nessuno ha il diritto di tacere, nessuno ha la libertà di non spiegarsi, di non fare di quell’invito un’abitudine, di limitarsi ad entrare e mangiare il più possibile, ma senza realmente sforzarsi di partecipare alla festa. Il Re del mondo ci ha invitato alla sua festa, e a Lui importa poco se ci consideriamo buoni o cattivi, non importa nulla che noi ci giudichiamo a vicenda per il vestito che portiamo, o per la condizione in cui abbiamo varcato la porta, ma di sicuro si aspetta che, almeno, ci cambiamo d’abito, adeguiamo le nostre abitudini alla festa, e soprattutto, a domanda rispondiamo.

Chi tace mette a rischio la sua elezione? Potrebbe essere un buono sprone a non tacere, a vestire l’abito migliore, a testimoniare la festa alla quale siamo stati indegnamente invitati e invitate, perché altri possano partecipare, perché l’onore del nostro ospite cresca, perché, in pratica sia festa per tutti e tutte, e se non proprio tutti, molti e molte.

 

La foto riprende la parabola in una illustrazione di Jan Luyken