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Anche il leone deve avere chi racconta la sua storia, non solo il cacciatore

Si è svolto ieri, giovedì 14 marzo, a Roma, al Palazzo dei Gruppi della Camera dei Deputati il convegno “Migrazione, accoglienza, inclusione, cosviluppo. Il ruolo delle diaspore Med-Africane – Anno III. Elementi di policy nazionale e locale”, promosso dal Centro italiano per la pace in Medio Oriente e da Confronti, con il sostegno del Ministero degli Affar Esteri e della Cooperazione internazionale.

«Il ruolo di inclusione delle comunità diasporiche – ha spiegato Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (CIPMO), introducendo l’incontro –  anche come ambasciatori e ponti dei paesi di provenienza è sempre più importante».

Importante per «costruire la civiltà di oggi e domani – ha poi aggiunto Claudio Paravati, direttore di Confronti – e come un laboratorio di politica e partecipazione possibili».

E anche la politica in senso stretto ha voluto testimoniare il suo interesse verso il mondo delle diaspore, attraverso il contributo della vice ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Emanuela Del Re, per la quale «il consolidamento del concetto di diaspora vede finalmente riconosciuto il valore aggiunto che queste persone rappresentano per la società». L’esponente del governo ha inoltre annunciato un finanziamento «di 600mila euro, per 21 mesi» per le attività legate alle associazioni delle diaspore.

«Fondamentale per la cooperazione italiana – ha poi continuato Del Re – è garantire la rappresentanza politica della diaspora nel nostro Paese, dunque lavoriamo quotidianamente per la promozione di ruoli e partecipazione attiva di esponenti della diaspora.

L’Italia è un gigante della cooperazione internazionale, è estremamente impegnata a tutti i livelli, dall’empowerment femminile allo sviluppo economico. In Libia siamo grandi donatori dell’Unhcr proprio per il contrasto alle violazioni contro i migranti nei campi e abbiamo fatto di recente una riunione con tutte le Ong presenti nel paese».

Sempre in tema di diritti umani, la vice ministra ha espresso il suo supporto ai corridoi umanitari, iniziativa della Fcei attraverso il progetto Mediterranean Hope: «parteciperò alla conferenza stampa del 28 marzo, per l’arrivo del prossimo corridoio umanitario in arrivo da Beirut, e sostengo pienamente l’iniziativa delle chiese valdesi e di Sant’Egidio».

Infine, l’esponente del governo ha voluto ricordare i cooperanti morti nell’incidente aereo di pochi giorni fa, in Etiopia. «Il brutto chiacchiericcio che è seguito a questa immane tragedia – ha concluso – su quanto e come queste persone contribuissero davvero alla causa per la quale si battevano, mi ha fatto molto male. Credo che quando le persone si spendono per gli altri, siano sempre un’eccellenza e l’Italia è un paese di eccellenze.

4 milioni di persone lavorano nelle Ong e nel volontariato: peccato che le loro storie non finiscano in prima pagina».

Dunque la narrazione del terzo settore che, al pari di quella del fenomeno migratorio, contribuisce a rappresentare e costruire la realtà. E non sempre la narrazione corrisponde al vero. Per Antonio Ricci del Centro Studi e Ricerche IDOS «il discorso delle migrazioni forzate parte da semplificazioni obsolete: 36 milioni sono i migranti africani del mondo ma la diaspora europea è numericamente il doppio, 65 milioni di persone. Dunque nessuna invasione, e al massimo “i barbari siamo noi!”. Quanto all’Italia, sono presenti 2 africani ogni 100 italiani: 1.100.000 circa».

Il primo panel del seminario ha visto – finalmente – protagoniste quattro donne su cinque, testimonianze di esponenti della diaspora che vivono e operano in Italia: dal Rwanda di Marie Terese Mukamitsindo, migliore imprenditrice immigrata del 2018, grazie al successo della sua cooperativa Karibu, alla diaspora tunisina con la docente Ouejdane Mejiri, presidente dell’associazione Pontes – Mediterraneo, dall’assessora del Comune di Scandicci Diye Ndiaye che propone di sostituire il termine “integrazione” con “interazione” a Berthin Nzonza dal Congo e da Torino, dove insieme alla chiesa valdese promuove il progetto Mosaico – Azioni per i rifugiati, fino alle nuove generazioni rappresentate da Ada Ugo Abara, che ha parlato di “giovani resilienti”.

Un fil rouge lega tutte le esperienze virtuose e i contributi: il “rispetto” per le persone, per le vite e le storie, per la complessità che ogni diaspora e ogni individuo incarnano.

Tatiana Esposito, direttrice delle politiche di integrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che ha ricordato come il dicastero che rappresenta sia «casa vostra, casa di tutti», Carlos Talamas della Camera di Commercio di Milano, Monza e Brianza e Lodi, Stefania Maselli, il direttore vicario dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo Leonardo Carmenati e il sociologo Rando Devole, che ha ricordato l’emigrazione albanese, sono stati relatori della seconda parte del convegno, dedicata alla “risposta delle istituzioni” alle diaspore.

Risposte che non possono che partire dal rovesciamento della prospettiva eurocentrica e postcoloniale, perché come dice un proverbio africano ricordato nell’intervento di Antonio Ricci di Idos: «Anche il leone deve avere chi racconta la sua storia, non solo il cacciatore».