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Globotica

La prima ondata dell’automazione (cioè dell’introduzione nel ciclo lavorativo di macchine in grado di eseguire tutta una serie di lavori prima compiuti da operai, manovali e addetti a mansioni semplici e ripetitive) si era manifestata negli anni 1980, e già allora, insieme agli indubbi miglioramenti produttivi era apparsa inarrestabile la diminuzione di posti di lavoro. Ma alle fondate preoccupazioni delle famiglie, gli «esperti», i politici, i sindacalisti avevano spiegato che sì, con i robot sarebbero diminuiti i posti di lavoro, ma se ne sarebbero creati molti altri nei nuovi settori, proprio a partire dalla robotica. Quindi non c’era da preoccuparsi: si citavano la rivoluzione industriale in Inghilterra, nel 1700, l’introduzione delle macchine a vapore, i telai meccanici (in qualche caso distrutti dagli operai…), e dopo il vapore, l’elettricità e poi l’elettronica e l’informatica con le infinite possibilità connesse e oggi alla portata di tutti…

Ogni cambiamento produce inizialmente rifiuto, paura, disorientamento negli anziani per il necessario ri-aggioramento, minore occupazione. Poi la situazione spesso migliora, si vedono anche i vantaggi e si va avanti con la ricerca e lo sviluppo tecnologico. Bisogna essere competitivi, progredire, investire: nel mercato della globalizzazione non c’è pietà per chi resta indietro. Stiamo arrivando, del tutto impreparati (come politica, come governi, investimenti nella ricerca scientifica, specializzazioni…) a una nuova svolta epocale: quella dell’incrocio tra globalizzazione robotizzazione: la parola nuova è globotica ed è significativo che sia un economista (Richard Baldwin, Graduate Institute di Ginevra) a usarla per primo. Non siamo più soltanto sul piano dell’innovazione ma, con l’Intelligenza artificiale (Ia) e l’impiego delle macchine che «imparano» da sole, siamo andati ben al di là della sostituzione di mansioni semplici svolte da operai (a esempio la verniciatura di una carrozzeria).

A essere colpiti saranno anche impiegati di livello superiore, infermieri, addetti ai laboratori, docenti, ricercatori, giornalisti. Non solo, ma l’Intelligenza artificiale si misurerà con problemi di carattere etico (che cioè comportano scelte). Come del resto si sta sperimentando nella manipolazione delle cellule e con gli interventi sul Dna, con il trapianto di organi spesso provenienti dal vergognoso mercato su cui gli schiavi moderni vendono pezzi del proprio corpo per non morire di fame mentre, accanto, robot scintillanti subentrano ai chirurghi…

Ci limitiamo a questi accenni sul probabile futuro, per segnalare quanta conoscenza, cultura, responsabilità ricade in primo luogo sulla politica, sui governi, i partiti. Invece, non solo non se ne parla e non ci sono luoghi di riflessione e confronto, ma sembra che le decisioni siano assunte o meno unicamente per assicurarsi il maggior gradimento nel voto delle prossime elezioni.

Infine, in particolare sul tema della Ia (Intelligenza artificiale), degli investimenti per la ricerca scientifica, dei limiti (del tutto ignorati negli anni in cui ha dominato la cultura dei diritti individuali e pochissimo quella dei doveri e della responsabilità) mi pare che anche le nostre chiese debbano ritornare a occuparsi di etica, come in parte è avvenuto nel campo biologico con il lavoro di una Commissione bioetica che ha informato, spiegato, discusso e fatto discutere. L’etica non è limitata al campo biologico, a inizio e fine della vita, ma occupa le nostre azioni, le decisioni, le possibilità i limiti da non valicare. Tutto è lecito non tutto è utile: queste parole dell’apostolo Paolo ai Corinzi mantengono piena attualità.