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L’incarico di rompere le barriere

Dopo una crisi politica durata nove mesi e che ha portato a un nuovo esecutivo guidato da Saad Hariri, dallo scorso 15 febbraio Raya al-Hassan è la prima donna a ricoprire il ruolo di ministro dell’Interno in un Paese arabo: il nuovo governo, con le sue quattro donne su 30 ministri, è il più “rosa” di sempre a Beirut, dove nella scorsa legislatura persino il ministero della Riabilitazione sociale ed economica per le donne era retto da un maschio. Un piccolo passo in un contesto storicamente poco favorevole.

«Non sono stata paracadutata qui nella posizione di ministro dell’Interno», ha dichiarato Raya al-Hassan, «ma ci sono arrivata progressivamente». In effetti, la neoministra aveva già ricoperto ruoli di alto livello in passato, come responsabile delle Finanze tra il 2009 e il 2011, ma questa volta è diverso: il ruolo di ministra dell’Interno porta con sé la gestione della sicurezza nel Paese e anche la necessità di sviluppare nuove strategie per affrontare il nono anno di conflitto in Siria e il suo portato sul territorio libanese, fatto di oltre un milione e mezzo di profughi siriani.

Il suo arrivo ha portato sin da subito una scossa, perché ha permesso di riaccendere il dibattito sul matrimonio civile, scatenando le proteste dei gruppi religiosi più conservatori.

In generale, nell’agenda della ministra uno spazio di primo piano sarà senza dubbio dedicato a riformare il sistema di leggi che regolano la vita nel Paese e che continuano a sostenere un codice sociale patriarcale.

Gran parte del diritto civile libanese, comprese le questioni relative ai diritti personali e di famiglia, come il già citato matrimonio, oppure il divorzio e l’eredità, variano in base alla propria confessione religiosa, portando con sé condizioni di disparità discrezionale per molte donne, che vedono il proprio vicino di casa accedere a diritti differenti rispetto ai propri in base all’appartenenza a una delle 17 comunità di fede riconosciute ufficialmente. Certo, non sono mancati alcuni progressi, anche se sempre all’insegna della lentezza: solo nel 2017 il parlamento libanese ha abolito una vecchia legge sul matrimonio d’onore, che assolveva gli stupratori che decidevano di sposare le proprie vittime. Tuttavia, lo stupro coniugale e il matrimonio infantile sono ancora legali. Anche su questo tema la neoministra ha dichiarato di voler intervenire in modo deciso: «la polizia deve ascoltare le donne abusate e prendere in considerazione le proteste e le denunce. Sarò molto rigida su questo problema». «Non puoi stare al passo con la comunità internazionale e dire di avere uno Stato civile quando tutto il mondo sta lavorando sull’uguaglianza di genere e il Libano vive ancora con la vecchia mente patriarcale maschile», ha aggiunto un’altra ministra del governo Hariri, May Chidiac, responsabile dello sviluppo amministrativo.

La storia di Raya al-Hassan ha tutto per uscire dalla politica quotidiana e aprire una via a livello regionale in un contesto in lenta ma innegabile evoluzione. Il caso della ministra libanese, infatti, è il più eclatante, ma non è completamente isolato: negli ultimi dodici mesi, infatti, si sono viste diverse “prima volte”, tra cui quella della tunisina Souad Abderrahim, eletta prima sindaco donna di Tunisi nel luglio del 2018.

Tuttavia, molto deve essere ancora fatto per l’uguaglianza di genere, soprattutto in tema di inclusione economica. La Banca mondiale ha recentemente pubblicato il proprio nuovo rapporto sull’inclusione economica delle donne, dal quale emerge che guardando ai dati degli ultimi dieci anni i Paesi del Medio Oriente si collocano in fondo alla classifica della Banca Mondiale sull’inclusione economica delle donne, con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran che occupano le ultime posizioni su una lista di 187 nazioni. La condizione della donna come custode del focolare domestico, come madre prima che come lavoratrice, è ancora lontana dall’essere superata, tanto nelle norme quanto nella cultura. Secondo la ministra Raya al-Hassan, «se guardiamo al mondo arabo negli ultimi cinque anni si siano poste buone basi per la futura partecipazione femminile, sia nel mercato del lavoro sia nel settore pubblico. Stiamo cominciando a rompere questa barriera».