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Il Signore, l’unico e vero Dio

Io sono il Signore; questo è il mio nome; io non darò la mia gloria a un altro, nè la lode che mi spetta agli idoli
Isaia 42, 8

Tuttavia per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo
I Corinzi 8, 6

Björn Borg, il grande campione svedese, si ritirò giovane, incapace di accettare di non essere più l’indiscusso numero uno del tennis mondiale. Se questo tipo di atteggiamento è comprensibile (sebbene non necessariamente condivisibile) nello sport, quanto più è invece legittimo da parte dell’Eterno, che non sarà mai – in nessun caso e in alcun modo – il numero due di nessuno! Non si tratta di orgoglio, di invidia o di gelosia – desideri un po’ troppo umani per attribuirli all’Altissimo – ma di un atteggiamento oggettivo. Come può, colui che sa di essere l’unico e vero Dio, accettare che la gloria e la lode che gli spettano siano date a chi Dio non è? Ciò che sulle labbra di qualunque essere umano suonerebbe insopportabilmente arrogante, detto dal Signore risulta assolutamente logico.

L’Onnipotente rivendica l’adorazione che gli è dovuta per il semplice fatto di essere il Dio tre volte santo (Is. 6, 3), fattosi conoscere quale Salvatore e Creatore. Ogni ginocchio deve piegarsi: non può essere che così e, da parte sua, non è accettabile che sia altrimenti.

Questo ci conduce a quel «timore del Signore» che, come sapeva l’antica sapienza ebraica, «è il principio della scienza» (Prov. 1, 7), di una condotta di vita accorta e avveduta. Non si tratta del terrore davanti a un despota capriccioso, ma della consapevolezza della maestà divina. In un certo senso, è il rispetto dovuto alle autorità; è la considerazione e il riguardo verso i grandi scienziati; è l’ammirazione stupefatta nei confronti di artisti eccelsi; è tutto questo, e altro ancora, elevato all’ennesima potenza; senza che vi sia in questo alcun che di minaccioso.

Da parte del Signore non si tratta, semplicemente, di veder riconosciuti i propri diritti, ma del richiamo a condurre un’esistenza autentica, basata sulle giuste priorità: perché è soltanto quando sappiamo chi è il nostro Dio e cosa gli è dovuto, che impariamo chi siamo noi e cosa ci è promesso.