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Cuore di tenebra

 

 

Fino al 19 maggio alle Ogr di Torino si può vedere la mostra Cuore di tenebra / Heart of Darkness. Può l’arte prevenire gli errori?

Il percorso espositivo, che riprende una riconoscibile citazione dal libro di Joseph Conrad, vuole essere un modo per indagare gli aspetti irrazionali del contemporaneo. Dagli imperialismi, alle guerre, allo sfruttamento delle risorse naturali, fino all’intelligenza artificiale, artisti provenienti da tutto il mondo propongono la loro personale visione non solo sul tema, ma anche sul proprio ruolo nel mondo contemporaneo.

Ne parla la curatrice Marcella Beccaria.

 

Cosa si intende per aspetti irrazionali?

«Si intendono quei continui rigurgiti di non civiltà e talvolta di barbarie che la nostra epoca contemporanea continuamente ci restituisce. Mi riferisco alla grande quantità di guerre, alla presenza del terrorismo, alla continua disparità di genere e di razza che caratterizza il mondo e lo rende a tutt’oggi un luogo estremamente oscuro e complesso».

 

Il titolo pone una domanda: può l’arte prevenire gli errori. Prima della risposta, perché porsi questo interrogativo?

«Questa domanda nasce da una serie di conversazioni, confrontandomi e lavorando continuamente a contatto con molti artisti italiani e internazionali. L’opera degli artisti nasce sempre nel contesto del mondo reale e sono proprio loro i primi a domandarsi l’utilità del proprio lavoro, il proprio ruolo sociale, il modo in cui essere artista abbia un significato, possa e debba confrontarsi con quelli che sono i continui interrogativi drammatici di fronte ai quali ci pone la realtà. Sono molto spesso loro i primi a porsi ad alta voce questa domanda: che cosa posso fare io? Cosa significa fare l’artista? Cos’è il mio lavoro in questo mondo? Cosa posso fare di fronte alle drammatiche notizie che tutti i giorni mi restituisce la lettura di un quotidiano?

Poi sappiamo bene che a volte gli artisti anticipano scenari che qualche volta la realtà attua molto tempo dopo. Non necessariamente sono dei profeti ma sicuramente sono persone, che occupandosi di sistemi di conoscenza, perché queste sono le arti visive, rispondono a determinate situazioni attraverso le loro opere. Non parliamo di risposte necessariamente dirette, didascaliche, non parliamo di arte di propaganda, ma di arte che pur mantenendo una grande libertà e una piena autonomia ha però un forte valore sociale, una profonda coscienza politica e non si astrae dal mondo contemporaneo proponendosi come una sorta di panacea, ma al contrario si compromette anche molto con una profonda consapevolezza di quello che è il mondo contemporaneo».

 

E allora può l’arte prevenire gli errori? Chi sono gli artisti in mostra e cosa propongono come risposta?

«Gli artisti sono 11 e provengono da varie parti del mondo. Per esempio Roberto Cuoghiè in mostra con un intervento sonoro molto potente e inquietante che si riferisce agli ultimi giorni di Ninive, portandoci a un tempo quasi mitico che però sappiamo essere un luogo geograficamente reale anche nel presente perché l’antica Ninive corrisponde all’attuale città di Mosul.

Wael Shawky,artista egiziano, da anni è impegnato in una profonda ricerca sulle crociate e che ha guardato alla storia attingendo alle fonti originali arabe, proponendo un punto di vista ben diverso dalla tradizionale storiografia occidentale sul tema. È un artista che si pone il problema di chi scrive la storia, chi trascrive le informazioni e chi le propone; anche lui racconta un evento del passato ma che parla molto del nostro presente: della difficile convivenza tra diverse religioni e diverse culture. Attraverso le visioni di altri artisti si arriva alle visioni che concernono un immediato futuro. Il più giovane artista in mostra è Pedro Neves Marques, di origine portoghese, che propone una video installazione la cui protagonista è un’androide ripresa mentre dialoga in un campo di grano geneticamente modificato. Lui ci presenta uno scenario che è futuro ma già abbastanza presente.

Ci sono artisti che parlano più direttamente di come l’arte si è posta di fronte ad eventi drammatici. In questo senso c’è il lavoro di Bracha L. Ettinger, un’importantissima artista che propone dei quadri che sono un grande concentrato di dolore perché attingono a fotografie di donne e bambini ebrei uccisi dai nazisti nel 1942. C’è una grande installazione di Mona Hatoum, artista di origine libanese, che ha molto lavorato negli anni sui temi dei conflitti e della perdita di una situazione domestica che le persone travolte da una guerra affrontano. Il percorso inizia con un lavoro di Maurizio Cattelan, una sorta di immagine abbastanza dura di un uomo attaccato al muro come fosse quasi spiaccicato con dello scotch. Un lavoro che ha a che fare con la basilare difficoltà che come esseri umani abbiamo nel relazionarci gli uni con gli altri, ma affronta anche un altro tema del mondo contemporaneo, ovvero la disseminazione di immagini violente e il modo in cui queste immagini minano alla base la nostra coscienza e la capacità di agire con empatia».