640px-nanga_parbat_from_air

Ballard e Nardi ancora dispersi sul Nanga Parbat

Pochi minuti fa Alex Txikon e i suoi compagni di spedizione sono tornati al campo base del Nanga Parbat, in attesa degli elicotteri che li riportino al K2, dove stavano tentando la prima salita invernale. Dei corpi di Daniele Nardi e Tom Ballard (inglese ma di casa in Italia) che da domenica 24 febbraio sono dispersi sul Nanga Parbat, nona montagna più alta della terra (8162 metri), nessuna traccia. E forse questa notizia decreta la fine delle ricerche e l’accettazione della sorte per Ballard e Nardi.

I due forti e preparati alpinisti stavano tentando la salita dello Sperone Mummery (in prima invernale) che prende il nome da Alfred Frederick Mummery, che nel 1895 arrivò a 7000 metri durante il primo tentativo di salita e scomparve con due portatori. Il Nanga Parbat divenne in seguito la «montagna della Germania» con numerosi tentativi di salita, finanziati direttamente dal partito Nazista e altrettanti insuccessi, con tanto di 26 morti fra alpinisti tedeschi e portatori indiani tra il 1934 e il 1937 che decretarono l’infausto nome di «Killer Mountain». Nel 1953 la prima ascensione in solitaria da parte dell’austriaco Hermann Buhl, nel 1970 la morte del fratello di Reinnhold Messner, Günther e una scia di vittime, fra cui gli 11 alpinisti uccisi dai talebani nel 2013 al campo base, che arriva fino all’anno scorso, con la tragedia di Tomasz Mackiewicz e l’incredibile salvataggio di Elisabeth Revol.

Negli ultimi giorni ci si è confrontati con situazioni molto diverse fra loro. Nei primi il silenzio radio di Nardi e Ballard è stato inteso come un problema legato al maltempo che impediva le comunicazioni fra i campi allestiti sullo sperone e il campo base. Con il passare dei giorni però la paura che i due avessero bisogno di aiuto si è fatta reale. Come l’anno scorso si è cercato di mettere in atto una squadra di soccorso: il console italiano Stefano Pontecorvo si è impegnato per avere degli elicotteri militari gestiti dalla società privata Askari per un sopralluogo che non ha avuto esito positivo. 

Intanto dal K2 (la Montagna degli Italiani) dove è in corso un doppio tentativo per la prima invernale (una spedizione russa-kazako-kirghisa e una internazionale guidata dal basco Txikon) c’è stata fin da subito la disponibilità per un’operazione di soccorso: via terra dei russi e con i droni degli spagnoli che sarebbero stati prelevati da elicotteri e spostati sul Nanga Parbat. Ma qui sono insorti tre grandi problemi: il primo di natura ambientale con le nevicate che non sempre garantivano il volo degli elicotteri; il secondo legato alle tensioni fra India e Pakistan riaccese proprio negli ulitmi giorni con l’abbattimento di due aerei indiani, che di fatto ha impedito il volo sul ghiacciaio del Baltoro fino al campo base del K2, e il terzo di carattere economico con gli elicotteri che non si alzano se non hanno il denaro anticipatamente. 

In mezzo a tutto questo Ballard e Nardi, in grave difficoltà su una grande parete, battuta da venti forti, valanghe e temperature proibitive. Tom Ballard è figlio di Alison Hargreaves, alpinista scomparsa nel 1995 in discesa dopo aver raggiunto la cima del K2; Nardi è per la quinta volta al Nanga Parbat. 

Con molte probabilità i due sono stati travolti da una valanga o strappati dalla montagna dal forte vento.

Ancora una volta la solidarietà degli alpinisti è stata incredibile (i russi hanno rinunciato al soccorso via terra solo per il fortissimo rischio di valanghe mentre Txikon ha rischiato con i suoi compagni forse troppo alla ricerca di Nardi e Ballard salendo fin oltre campo 2 e perlustrando attentamente la montagna con i droni) e al tempo stesso impotente di fronte alla forza della natura che a quelle quote non permette passi falsi. Il senso di avventura su una grande parete del genere anche con le moderne tecnologie è ancora assoluto e la domanda che a tutti sorge è il perché di questo tentativo che si sapeva essere molto rischioso. La risposta l’ha data tempo fa un certo George Mallory nel 1924, durante il primo tentativo di salita dell’Everest: «Perché ci vado? Perché è lì». 

 

Foto: Nanga Parbat, Di Guilhem Vellut (*_*) on Flickr, CC BY-SA 2.0