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La Bibbia dei non credenti

La Bibbia dei non credenti, dell’autore e giornalista Francesco Antonioli, nasce dalla necessità di ritrovare luce e speranza a partire dalle persone. Si è qui alla ricerca di un minimo comune multiplo in cui riscoprirsi, ricercare l’umanità nascosta sotto anni di informazione corrotta, soprattutto riguardo i temi religiosi. Il punto di partenza dell’autore è la Bibbia, testo che in qualche modo ha incrociato la maggior parte delle persone cresciute in Italia; alcune ci sono cresciute, altri potrebbero aver accantonato la formazione d’infanzia, altri lo ritrovano in età adulta.

Il libro è un tentativo di confronto tra voci diverse della vita pubblica italiana, intellettuali, politici, scienziati, manager, blogger, che si mettono in gioco provando a proporre delle riflessioni a partire da un versetto a loro scelta. C’è quella di Oliviero Toscani a partire da Genesi 2, l’ex presidente della Camera Luciano Violante propone una riflessione a partire dal Qoelet, lo scrittore Salvatore Mannuzzu ha lasciato un contributo sulla figura di Giuda. Alcuni versetti sono gli stessi e sarà interessante confrontare le diverse riflessioni, e poi ci sono contributi differenti come quello di Emilio Giannelli, vignettista del Corriere della Sera, che ha realizzato un’illustrazione sulle nozze di Cana.

Ne parla l’autore Francesco Antonioli.

 

Come mai ha scelto la Bibbia come punto di partenza?

«Un po’ perché è il grande codice dell’Occidente e riportare alla memoria questi frammenti che fanno parte della storia di molti, può essere un modo per ricostruire. Rimasi molto colpito quando l’allora arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, istituì la Cattedra dei non credenti con l’intento di dare voce e persone che ormai in questa definizione possono rientrare per tanti aspetti. A partire dal bell’insegnamento del mondo protestante, anche Martini diceva che la Bibbia è un libro che unisce, che racconta la storia di popoli. Questo l’ho percepito molto forte a partire dall’enorme tragedia dell’11 settembre da dove siamo dovuti ripartire per ricostruire».

 

Vuole essere anche un modo per mettere in dialogo credenti e non credenti?

«Si perché oggi c’è bisogno di creare ponti. Sono convinto che l’elemento della fede, soprattutto della fede cristiana, non debba essere usato come un grimaldello o come un oggetto contundente. Io credo che oggi il discrimine sta tra chi sa coniugare l’amore e la solidarietà senza rinnegare la propria identità. Il fatto di dialogare con chi non è credente è forse anche un modo per mettere alla prova quello in cui si dice di credere, dando una possibilità di confronto che dovrebbe partire dal quotidiano, dalle piccole cose».

 

L’opera nel suo insieme rivela dei punti di contatto tra i vari contributi raccolti?

«Credo che in filigrana ci sia, in alcuni, un senso di nostalgia per qualcosa legato alla formazione dell’infanzia e dell’adolescenza. Considerata l’importanza di questo Libro dei libri, ne viene fuori, quasi tutti lo ammettono, che c’è un’ignoranza complessiva sulla Bibbia. Si tratta comunque di un best seller e bisognerebbe conoscerlo di più. Mi sembra che tutti rivelino un bisogno fondamentale di buone relazioni, in fin dei conti il bisogno ancestrale di tutti noi, uomini e donne, è quello di sentirci amati e pienamente riconosciuti. Nelle pieghe anche più nascoste di episodi biblici presi in esame, viene fuori questa inquietudine esistenziale, a volte una rabbia inespressa. Certo, c’è chi si mette più in gioco e chi meno, io ho lasciato tutti liberi nel scegliere il brano biblico tranne una persona: l’eurodeputato della lega Mario Borghezio. A lui ho chiesto di commentare il passo Ama il prossimo tuo come te stesso».