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C’era una volta il XVII febbraio…

Partecipando al culto del XVII nel tempio di Luserna S. Giovanni, notavo con piacere il buon numero di costumi valdesi con quelle belle cuffie bianche, che in questi ultimi anni mi sembrano in aumento. Con il pensiero tornavo agli anni in cui la festa era piuttosto contestata, a partire dall’esposizione delle bandiere tricolori per giugnere fino al “pranzo”, spesso organizzato in trattoria e dunque gradito soprattutto per la “mangiata”. Ma, mentre la contestazione nelle grandi città riguardava di più la politica, nelle Valli valdesi la riflessione fu più pacata e propositiva, coinvolgendo giovani, pastori, membri di chiesa uomini e donne di varie età.

Nell’ Eco delle valli del gennaio 1969 viene pubblicata un’ampia lettera con il titolo: Per una riscoperta del senso della fede in Cristo. Leggo i nomi dei firmatari: Antonio Adamo, Claudio Balma, Elena Bein, Claudio Bernard, Luciano Deodato, Giorgio Gardiol, Mauro Gardiol, Franco Giampiccoli, Beniamino Lami, Graziella Lami Tron, Valdo Massel, Giovanna Pons, Guido Pons, Bruno Rostagno, Massimo Sibilia, Giorgio Tourn, Claudio Tron, Elena Tron, Lucilla Tron. 

L’ intenzione dei firmatari viene subito chiarita: «il vero problema non è di ricercare il significato genuino del XVII febbraio, ma di veder chiaro nella nostra vocazione attuale di credenti in Gesù Cristo». In secondo luogo, affermano che sotto le incomprensioni. c’è l’equivoco della chiesa-popolo. “In questa occasione infatti la chiesa accetta, per esprimere la sua fede, di far propri valori e sentimenti umani, comuni ad un popolo come la tradizione, la libertà, un certo autocompiacimento… la comunità dei credenti perde la sua funzione di sale, di lievito, nei confronti di questo popolo e si identifica semplicemente con una società umana…» 

Si propone poi di abolire in particolare: i petardi e i fuochi d’artificio, le bandiere, le coccarde (poveri bambini!, neanche più quelle!) perché «esprimono un sentimento di lealismo verso una società terrena dai confini limitati e dall’azione discutibile, che non è conforme all’universalità e alla libertà dell’Evangelo… se qualcuno inalberasse la bandiera rossa farebbe scandalo, vi chiediamo di non inalberare il tricolore…».

Si avanzano anche alcune proposte: prendere una iniziativa a favore dell’evangelizzazione in ogni comunità; usare la libertà religiosa di cui godiamo, per esempio comprando e leggendo un libro che ci aiuti a chiarire la nostra fede (es. il Nuovo Testamento annotato); organizzare un incontro al mese, con agape fraterna, con un argomento di discussione….

«Non diamo per scontato – concludono- che tutti debbano attuare quello che proponiamo perché la nostra non è parola di Vangelo. Tuttavia è la parola più chiara che ci sia venuta in mente. Vorremmo pertanto pregare tutti coloro che respingeranno questo appello di rendere note le motivazioni evangeliche del loro rifiuto. A quanti invece condividono queste preoccupazioni chiediamo di esprimere apertamente la loro adesione in modo che non si esprimano solo pochi individui ma un settore più ampio dell’opinione delle chiese…».

La discussione sui numeri successivi dell‘Eco ci fu e ben diversificata: da Tullio Vinay che sostiene le agapi periodiche, a Adele Rossi Marauda che si scandalizza per il fatto di trovare tra i firmatari molti pastori i quali «dovrebbero occuparsi molto di più dello spopolamento delle nostre chiese anziché di inutili quisquiglie e annunziare il Vangelo del nostro Signor Gesù Cristo senza aggiungere o togliere una sola virgola», a Valdo Vinay che richiama l’attenzione sul rischio di una posizione troppo puritana che soffocherebbe autentiche espressioni di gioia popolare.

E ancora: Guido Ribet respinge con forza i paragoni con il carnevale e le gozzoviglie ed esorta a pensare piuttosto a quelli che la libertà religiosa non ce l’hanno, dalla Spagna ai Paesi del’Est.

Rita Gay scrive di essere contestatrice da vent’anni del XVII febbraio, e afferma di non capire perché bisogna agitarsi come tanti cagnolini solo perché il padrone ha concesso loro un osso degno di considerazione particolare…

Questa è la nostra chiesa: oggi insistiamo di più sull’ aspetto civile della festa, il re Carlo Alberto concesse ai valdesi e agli ebrei alcuni diritti, ma per la libertà religiosa occorrerà aspettare ancora un secolo, al falò viene la televisione e i giornalisti fanno interviste, resta comunque viva la tensione popolo-chiesa…perché nelle Valli valdesi su questo si gioca la nostra vocazione…