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Una chance per il futuro

Tijuana, città messicana al confine con gli Stati Uniti, è una delle più pericolose al mondo, con 2500 omicidi solo nel 2018. Vicino al carcere di massima sicurezza maschile è sorto dagli anni Settanta un “villaggio” di fortuna, popolato da donne e bambini, esposti a quotidiane violenze, sfruttamento sessuale, assassini e traffico di droga. Quest’ultima è la causa principale delle violenze e dell’abbandono dei minori, perché spesso uno o entrambi i genitori sono coinvolti nello spaccio o ne sono vittime.

Nel 1996 nasce, per iniziativa degli episcopali di Los Angeles, venuti a conoscenza della situazione, l’orfanotrofio Vida Joven de Mexico, che negli anni mantiene la sua capacità originaria di 25 posti, per accogliere bambini dai 2 ai 18 anni.

L’obiettivo era offrire un rifugio temporaneo per sottrarli ai pericoli, non di essere un luogo in cui farli crescere, commenta la fondatrice Sylvia Laborin nell’articolopubblicato dall’Episcopal News Service. Ma in 22 anni di attività Vida Jovenè diventato molto di più.

Nello stato della Bassa California, di cui Tijuana è la città principale, sono fra 3000 e 4000 i minori affidati allo Stato perché abbandonati: l’80% di quelli che arrivano al centro Vida Jovenè stato assegnato dai servizi sociali, il 90% di loro ha ancora almeno un parente in vita, ma nessuno può prendersene cura e molti finiscono per strada. Una disgregazione sociale tanto più drammatica in una cultura come quella latina, in cui la famiglia è centrale. Molti tentativi di riunire le famiglie falliscono, creando una situazione destabilizzante soprattutto per gli adolescenti.

Negli ultimi anni ibisogni sono cresciuti, spiega ancora Laborin, e non parla di denaro o di cibo: sono i bisogni più profondi dei bambini a non avere soddisfazione. «Sono perduti… privi di radici», è il suo commento, ricordando il cambiamento in vent’anni: oggi «Sono arrabbiati con le loro famiglie, con tutto e con tutti».

Forse un po’ come lo era lei, 22 anni fa, nel momento di prendere la direzione del nuovo centro, tra sporcizia e abbandono, trovandosi di fronte a bambini che arrivavano senza nient’altro che i vestiti che indossavano. All’inizio la signora Sylvia, la cui “seconda vita” era cominciata (una volta cresciuti i figli, morto il marito e chiuso il proprio negozio di estetista) rispondendo a un annuncio di ricerca personale, era stata sopraffatta da questo stato di bisogno.

Oggi Vida Joven,ampliatasi con un’organizzazione no-profit con base negli Usa, funziona con uno staff di 15 persone attivo 24 ore su 24: i ragazzi dormono in dormitori, uno per i più piccoli e due per i più grandi, ognuno con un bagno; uno spazio per lo studio, la cucina e la sala da pranzo, che viene utilizzata anche per fare i compiti.

Una grande importanza viene infatti data allo studio, necessario per accedere a qualunque lavoro. L’istruzione pubblica è gratuita, ma i costi dei materiali sono spesso proibitivi, se pensiamo che l’uniforme per l’asilo costa circa 100 dollari e un lavoratore medio ne guadagna 4 al giorno. Molti genitori non hanno studiato oltre la scuola primaria, mentre oggi la scuola dell’obbligo è stata estesa fino alla 12ma classe. Tuttavia mancano le strutture, e chi può si rivolge alle scuole private. Vida Jovensostiene l’istruzione superiore dei ragazzi in questo modo, pagando con il sostegno dei donatori (statunitensi, ma di recente anche abitanti di Tijuana che ne riconoscono l’importanza) una retta di 200 dollari al mese.

I responsabili del centro sono consapevoli che non tutte le storie di questi ragazzi avranno un lieto fine. Quel che è certo, però, è che senza Vida Jovensarebbero già morti o finiti nella spirale dello sfruttamento.