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Combattere l’antisemitismo prima che sia tardi

I fenomeni di antisemitismo stanno vertiginosamente aumentando in Europa e in Italia. L’ultimo caso, ormai risaputo, è quello avvenuto a Parigi e dove alcuni Gilets Jaunes hanno offeso verbalmente il filosofo francese Alain Finkielkraut per le vie della città, per il solo fatto di essere ebreo.

Un’aggressione che è stata talmente feroce da costringere l’intellettuale a mettersi con le spalle al muro. Solo l’intervento di un passante e della polizia ha potuto impedire che potesse capitare il peggio. «Sporco ebreo», «Il popolo ti punirà», «Palestina», sono alcuni epiteti rivolti al filosofo, insieme all’invito a fare «le valigie» e «andare a Tel Aviv». In un’intervista pubblicata anni fa su Pagine Ebraiche (in occasione dell’uscita del saggio Un cuore intelligente – Adelphi – tradotto da Francesco Bergamasco) Finkielkraut sosteneva che «l’antisemitismo, quello che oggi conta, si proclama antirazzista». L’altro ieri, invece, dopo l’aggressione subita (il 16 febbraio) ha raccontato al Journal du Dimanche la sua paura, «ho percepito un odio assoluto nei miei confronti e ho davvero temuto per la mia incolumità, se non fosse intervenuta la polizia a farmi da scudo per proteggermi». 

Nato a Parigi nel 1949, figlio di sopravvissuti ai campi di sterminio, Finkielkraut è stato allievo dell’Ecole Normale Superieure. La sua formazione è stata condizionata dal pensiero di Hannah ArendtMartin HeideggerEmmanuel LévinasVladimir Jankelevitch. Nemico dichiarato del relativismo e del pensiero debole, in questi anni Finkielkraut si è fatto alcuni «nemici». Tuttavia, continua ad essere una voce autorevole e richiesta per la sua capacità di affrontare i temi di stretta attualità. 

Nel libro L’identità infelice uscito nel 2015 sosteneva: «L’immigrazione, che contribuisce e contribuirà sempre più alla crescita demografica del Vecchio Mondo, pone le Nazioni europee e l’Europa stessa di fronte alla questione della propria identità. Siamo individui spontaneamente cosmopoliti che ora, a causa dello shock dell’alterità, scoprono il loro essere. Scoperta preziosa, ma anche pericolosa: dobbiamo combattere, a tutti i costi, la tentazione etnocentrica di perseguire le differenze e di erigerci a modello ideale, senza per questo soccombere alla tentazione penitenziale di rinnegare noi stessi per espiare le nostre colpe». 

La recente aggressione al filosofo è stata condannata da più parti, anche se il coro non è stato univocoAnche in Italia. 

Il presidente francese Emmanuel Macron l’ha definita «La negazione assoluta di ciò che siamo e di ciò che dovrebbe essere una grande Nazione come la nostra». Poi, intervenuto su Twitter, ha proseguito: «Figlio di emigranti polacchi, diventato membro dell’Accademia di Francia, Finkielkraut non è solo un uomo di lettere eminente ma anche il simbolo di quello che la Repubblica francese può permettere a ognuno».

L’antisemitismo, dunque, non è un’opinione, ed è un fenomeno assai cresciuto negli ultimi cinque anni, il dato è emerso recentemente e fortunatamente preoccupa il 58% degli italiani. E il restante 42%?

In Europa una persona su due ritiene che i rigurgiti antisemiti siano un problema, tuttavia, quasi la metà degli europei (e il dato preoccupa),ritiene che il negazionismo non sia un problema. Percentuali e riscontri che sono contenuti nel Rapporto Eurobarometro presentato a Bruxelles lo scorso 22 gennaio presso il museo ebraico. 

Lo studio è stato condotto nel dicembre 2018 su un campione di oltre 27mila europei. 

«Il sentimento degli italiani ricalca quello dell’Europa: il 50% dei cittadini ritiene che l’antisemitismo sia un problema. I picchi di preoccupazione si registrano in Svezia (81%), Francia (72%), Germania (66%), Paesi Bassi (65%), Regno Unito (62%)». 

Tra queste preoccupazioni, le più sentite sono la negazione della Shoah, l’antisemitismo online, quello «sdoganato» nelle istituzioni, le minacce agli ebrei nei luoghi pubblici e le scritte antisemite sui muri dei palazzi

«Di tutte le espressioni antisemite, la negazione della Shoah è la più preoccupante», ha affermato la commissaria Ue alla Giustizia Vera Jourova, in occasione della divulgazione dei dati.

Eppure «Auschwitz – ha affermato nel discorso in occasione del Giorno della Memoria il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella –, evento drammaticamente reale, rimane, oltre la storia e il suo tempo, simbolo del male assoluto. Quel male che alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni».

Sì, bene ha fatto il presidente a ricordarlo, perché in Italia i fenomeni di antisemitismo e di intolleranza aumentano costantemente. Recente è il tweet pubblicato da un senatore che ricordava i «Protocolli dei sette savi di Sion», ora indagato dalla Procura di Roma per il reato di diffamazione aggravata dall’odio razziale. O ad esempio il recente caso avvenuto ai danni di una professoressa pisana che ha raccontato su facebook il suo episodio spiacevole a Roma dove è stata presa di mira da un uomo con una croce uncinata stampata sul braccio, che le ha sputato sul volto, forse, lei ritiene «perché avevo sotto braccio una borsa di tela del corso di yiddish fatto a Tel Aviv».

E ancora, i manifesti incollati lo scorso gennaio con le scritte «Lazio, Napoli, Israele. Stessi colori stesse bandiere, merde», affissi una notte tra la zona di Prati e Balduina. Scritte comparse mentre in piazza della Libertà i tifosi della SS Lazio festeggiavano i 119 anni di storia della società biancoceleste.

«Sono molto preoccupata della situazione generale – ha dichiarato oggi la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello intervistata da Monica Rubino su la Repubblica –. Non possiamo combattere l’antisemitismo di matrice islamica se non andiamo a colpire e a condannare i movimenti di estrema destra che in tutta Europa stanno dilagando e riproponendo manifestazioni del più bieco antisemitismo nelle forme più violente che avevamo visto soltanto negli anni Trenta e a seguire».

Proprio in questi giorni la chiesa valdese e le comunità ebraiche hanno promosso congiuntamente a Torino la ricorrenza del 17 febbraio per ricordare le Lettere Patenti. Una Festa della libertà per celebrare i diritti civili e politici che furono concessi nel febbraio 1848 ai valdesi e nel marzo dello stesso anno agli ebrei. Due comunità italiane, due minoranze, che hanno subito in passato discriminazioni e persecuzioni, sebbene in tempi e in modi differenti. 

In occasione della Giorno della memoria, celebrato lo scorso 27 gennaio, anche il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), pastore Luca Maria Negro, con una lettera indirizzata alla presidente dell’Unione delle comunità ebraiche (Ucei), Noemi Di Segni ha voluto ricordare «[…] di fronte alla recrudescenza di atti intimidatori e vandalici di stampo neofascista che richiamano alla mente le persecuzioni del passato esprimo la mia preoccupazione e mi appello alla vigilanza e all’impegno di tutti. Questa recrudescenza non è isolata, s’inserisce in un contesto più ampio di rissosità verbale, di squalifica degli avversari, di propaganda aggressiva, di costruzione di figure di nemici intorno a cui aggregare consensi basati sugli umori, di trascuratezza quando non di irrisione nei confronti dei dati e dei fatti. La Memoria alla quale ci appelliamo, l’invito a non dimenticare, devono trovare attuazione non solo in un generico divieto all’oblio, ma nella ricerca e affermazione incessante della verità come strumento di costruzione di una cultura critica e scevra di qualsiasi retorica e ritualizzazione».