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Centrafrica, un accordo di pace tra speranze e rischi

Mercoledì 6 febbraio il governo della Repubblica Centrafricana ha firmato nella capitale Bangui un accordo di pace con i rappresentanti di 14 gruppi armati, mettendo così fine a una guerra civile che proseguiva da più di cinque anni e che aveva causato migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati, iniziata nel 2013, quando i ribelli Seleka presero il potere a Bangui e vennero affrontati dalle cosiddette milizie anti-Balaka.

 

Le trattative, che si sono svolte nella capitale del Sudan, Khartoum, a partire dal 24 gennaio, erano state sostenute dall’Unione Africana e da gran parte della comunità internazionale e hanno portato a un’intesa secondo cui tutte le parti si impegnano a rinunciare sin da subito “a qualsiasi uso della forza armata” per risolvere le loro divergenze. Il primo articolo dell’accordo (consultabile interamente in lingua francese sul sito di Rfi – Radio France Internationale) rimarca la convergenza di tutti i firmatari sul “rispetto dell’unità nazionale, dell’integrità territoriale e della sovranità della Repubblica centrafricana, così come della sua forma repubblicana e del suo carattere laico”. Certo, dalla dichiarazione di principio alla sua traduzione in atto dovranno essere compiuti molti passi, ma la direzione viene indicata in modo chiaro negli articoli successivi, in cui si parla della formazione di un governo inclusivo.

 

Tuttavia, non mancano i rischi, anche perché la mediazione non ha soddisfatto tutte le richieste dei gruppi ribelli. In particolare, i gruppi armati speravano in un’amnistia, ma questa parola non compare nell’accordo, dove è possibile leggere invece che “i firmatari rifiutano ogni idea di impunità” (articolo 7). L’ipotesi di un’azione penale, per quanto remota, è quindi possibile. Ai lavori di mediazione ha partecipato anche la Comunità di Sant’Egidio. Mauro Garofalo, responsabile delle relazioni internazionali proprio di Sant’Egidio, racconta che «l’amnistia è fuori discussione fin dall’inizio dei negoziati, fin dai tempi dei negoziati di Roma».

È lo stesso accordo, comunque, a chiarire (art. 11) che verrà istituita una “commissione inclusiva”, che include tutti i firmatari, per definire le azioni che potranno essere intraprese in materia di giustizia. Non si fa menzione della giustizia internazionale, anche se ieri il portavoce del governo ha assicurato che si sarebbe occupato dei crimini più gravi.

 

Sul tavolo rimangono alcuni aspetti che dovranno essere sciolti durante la fase di transizione. Tra questi il tema delle risorse naturali. Nonostante si tratti di un Paese poverissimo, la Repubblica Centrafricana ha una disponibilità di risorse naturali davvero notevole: oro, diamanti, uranio e foreste si collocano quindi tra le ragioni di un conflitto che si trascina da anni. Garofalo racconta che «si è parlato molto di risorse e di come il territorio debba essere gestito una volta che lo Stato abbia ripreso la sua autorità. Questo avverrà in maniera progressiva, ma nessuno si nasconde dietro un dito: tutti sanno che molti gruppi armati gestiscono direttamente e a volte in maniera rudimentale le miniere di diamanti e di oro. Quello che per molto tempo non è stato capito è che se ci fosse una gestione condivisa delle risorse sotto l’autorità dello Stato entrerebbe molto più denaro, perché ci sono ancora infinite risorse sotto il terreno, alcune non sono ancora state sfruttate e questo ovviamente fa gola a molti anche al di fuori del paese».

 

In secondo luogo, è opportuno chiedersi se e come si riuscirà a procedere con il disarmo di tutte le forze in campo, prevista in modo esplicito nell’accordo. A questo proposito, Mauro Garofalo si dice molto fiducioso: «il Centrafrica è un paese quasi vuoto: cinque milioni di abitanti in un paese più grande della Francia. I gruppi armati non sono centomila, sono molti di meno e tra gli elementi dei gruppi armati molti si sono stancati di fare questa vita». Inoltre, spiega ancora il rappresentante di Sant’Egidio, «siamo di fronte a una missione Onu tra le più grandi, circa 13.000 soldati con imponenti mezzi logistici. Quindi io credo che se l’accordo politico tiene e se le altre questioni collaterali saranno risolte credo ci siano sufficienti forze in campo».

Si tratta di un accordo che rafforza il ruolo delle Nazioni Unite, che attraverso la missione Minusca potrà sanzionare direttamente le violazioni dell’intesa. Tuttavia, anche un buon accordo potrebbe non bastare in un Paese che rischia di essere ormai compromesso. «La violenza – conclude Mauro Garofalo – ha inquinato talmente la vita del Centrafrica, che era fatta di vivere insieme. Ormai non si può più dire che si tratti della solita guerra in cui i gruppi difendono le loro ricchezze e difendono i loro le loro miniere di diamanti. Purtroppo ormai il vivere insieme è inquinato e bisognerà lavorare a lungo, molto a lungo, per ricostruire tra etnie diverse, fra comunità religiose diverse, oppure per esempio fra pastori e agricoltori».