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L’Europa sostenga le Ong e blocchi i rimpatri

In occasione della riunione dei ministri degli Interni e della Giustizia degli stati membri che si svolge a Bucarest il 7 e 8 febbraio, circa 50 associazioni, tra cui la Commissione delle chiese per i migranti in Europa (Ccme), hanno inviato una lettera aperta in cui esprimono preoccupazione per la grave crisi nel Mediterraneo. La lettera aperta sottolinea come l’anno scorso almeno 2.500 donne, bambini e uomini siano annegati in mare, affermando che «i leader dell’UE hanno consentito a loro stessi di diventare complici nella tragedia che si svolge davanti ai loro occhi».

Le organizzazioni che hanno sottoscritto la lettera ripercorrono gli ultimi mesi in cui i governi europei hanno provato – fallendo – a concordare un sistema che permettesse ai sopravvissuti di sbarcare in sicurezza quando raggiungono una costa europea: «ogni volta che una nave con persone che sono appena state salvate raggiunge un porto europeo, i governi dell’UE  si dilungano in penosi dibattiti su dove la nave può sbarcare e quali paesi possono ospitare i sopravvissuti ed accettare le loro domande di asilo. Per tutto il tempo, donne, uomini e bambini, che spesso portano cicatrici fisiche e psicologiche dal loro viaggio, rimangono bloccati in mare, in alcuni casi per quasi un mese».

Altra preoccupazione che le associazioni sentono come particolarmente grave è quella relativa «all’indebita pressione sulla società civile e su organizzazioni che conducono missioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Piuttosto che sostenere queste attività, nel tentativo di salvare vite umane, un certo numero di stati membri dell’UE hanno reso più difficile per loro operare: costruendo accuse infondate contro di loro e impedendo alle navi che fanno ricerca e soccorso di partire dai loro porti. Mentre l’anno scorso, c’erano cinque organizzazioni che conducevano operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, solo una oggi è in grado di farlo».

La lettera si focalizza poi sulla situazione in Libia, dove le persone vengono rimpatriate forzatamente con il rischio di essere detenute arbitrariamente, maltrattate, torturate o vendute: «secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, oltre 15.000 persone sono state rimandate in Libia nel 2018». Le organizzazioni sottolineano anche che «l’Europa si è impegnata a salvare vite nel Mediterraneo e condividere la responsabilità nell’ospitare i rifugiati. Il diritto di chiedere asilo e il principio di non respingimento è ripetuto nei trattati dell’Unione europea, che afferma inoltre che l’Unione è fondata sui valori del rispetto, della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani».

Pertanto le richieste che vengono fatte ai ministri degli Interni e della Giustizia degli stati membri sono di sostenere le operazioni di ricerca e salvataggio in mare, di adottare accordi per uno sbarco tempestivo e organizzato e di bloccare i rimpatri in Libia.