b53_bomb

Un passo indietro per il disarmo

Venerdì 1 febbraio gli Stati Uniti hanno sospeso la propria adesione al trattato INF – Intermediate-Range Nuclear Forces – che era stato siglato nel 1987 dall’allora presidente Reagan insieme a Michail Gorbacëv, l’ultimo segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Si ritiene che il trattato INF, che aveva portato alla distruzione di migliaia di testate nucleari, abbia dato un grande contributo alla fine della Guerra fredda, riducendo la tensione globale che aveva tra i suoi pilastri proprio la deterrenza nucleare. Meno di 24 ore dopo l’annuncio della Casa Bianca, anche il presidente russo Putin ha preso la stessa decisione, affermando al tempo stesso che la Russia comincerà a sviluppare nuovi missili e che la Russia non schiererà missili a corto e medio raggio, ovvero quelli che potrebbero colpire i Paesi europei, a meno che gli Stati Uniti non lo facciano per primi.

La decisione di Washington era già stata annunciata alla fine del 2018 e va inserita in un più globale contesto di contrapposizione tra gli Stati Uniti e la Russia da un lato e tra Stati Uniti e Cina dall’altro. Secondo l’amministrazione Trump, da tempo la Russia ha smesso di rispettare il trattato, producendo missili nucleari a media gittata che possono essere lanciati da terra. Tuttavia, la Russia ha sempre respinto le accuse. Per quanto riguarda la Cina, che invece non ha mai firmato le accuse, gli Stati Uniti accusano Pechino di sviluppare da molto tempo missili nucleari come quelli proibiti dal trattato, acquisendo un vantaggio strategico e militare troppo grande, considerato inaccettabile per il Paese capofila della Nato.

Ora serviranno sei mesi prima che gli Stati Uniti possano uscire del tutto dall’accordo, e lo stesso vale per la Russia. Secondo Lisa Clark, rappresentante italiana di ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons – Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, vincitrice del Premio Nobel per la Pace del 2017) è possibile che per ora la prima conseguenza sia un «innalzamento del livello della tensione diplomatica. Credo che sia ancora tanto da fare per impedire che alla fine dei sei mesi tutte e due le potenze si ritirino dal trattato».

Perché questo trattato è, o era, così importante?

«È la pietra d’angolo di tutto il disarmo nucleare che poi ha portato alla fine della guerra fredda. È particolarmente importante per l’Europa, per gli Stati che non sono le due potenze, perché quel trattato fece rimuovere i missili Pershing dalla Germania e i Cruise dall’Italia, dal Belgio, dall’Olanda, in quella che è stata la prima mossa di disarmo, di costruzione, anche, di un rapporto di fiducia reciproca tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti che alla fine hanno potuto portare alla fine della Guerra fredda».

L’Europa si ritroverà quindi a ospitare missili a medio raggio sul proprio territorio?

«Io non credo che da domani la Germania abbia voglia di farsi installare dei nuovi missili a gittata tra i 500 e i 5500km sul suo territorio. Tra l’altro in Germania il partito socialdemocratico e non solo le sinistre da tanti anni ritengono sia necessario lavorare per una totale denuclearizzazione dell’Europa. In Germania ci sono circa 20 bombe nucleari B61 che nel momento in cui furono lasciate in Germania, come ce le abbiamo anche in Italia una quarantina probabilmente, erano una specie di presenza simbolica per dire che qui eravamo ancora gli alleati nella Nato in prima linea.

Ma il partito socialdemocratico e tutte le sinistre sono a favore dell’eliminazione di quelle già presenti, quindi figuriamoci se lascerebbero approvare l’installazione di nuove armi, quelle sì, davvero da guerra, in Germania».

Di fronte a una simile decisione, è necessario rilanciare sul Tpnw, il Trattato delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi nucleari, firmato nel luglio del 2017 da 70 Stati e ratificato da 21. Per la sua vera e propria entrata in vigore è necessario raggiungere la ratifica da parte di 50 Paesi. Al di là del numero, che cosa manca per renderlo effettivo?

«Manca la volontà delle potenze nucleari per adesso: è un trattato che è stato approvato il 7 luglio del 2017, poi come succede nei trattati internazionali una volta concordato il testo viene aperto alla firma e alla ratifica. Siamo a 21 ratifiche, noi pensiamo che già entro la fine di quest’anno si possa anche giungere alle 50 ratifiche, quindi nell’arco dell’anno prossimo, del 2020, possa tecnicamente entrare in vigore il trattato, che vincola solo gli Stati che lo ratificano. Siccome gli Stati Uniti e la Russia non lo ratificheranno, e senz’altro non lo faranno entro quest’anno, il trattato non eliminerà da subito le armi nucleari dal pianeta, quello è l’obiettivo finale.
Ciò che potrebbe succedere è che si faccia sempre più forza dal punto di vista delle campagne di popolo, di persone, di associazioni, di chiese, di sindacati, di enti locali, di gruppi di professionisti, scienziati, avvocati, nei territori di questi Paesi. Italia, Germania, Belgio e Olanda sono i Paesi dove forse al presidente Trump potrebbe venire l’idea di chiedere di rimettere delle armi nucleari: se questi Paesi aderissero al trattato per la proibizione delle armi nucleari, sarebbe proibito impiantare armi per via della loro adesione al trattato».

Tra i firmatari manca l’Italia. Ci sono segnali in questo senso?

«In Italia abbiamo una campagna che si chiama “Italia, ripensaci”, perché gli ultimi tre governi italiani, quello guidato da Renzi, quello Gentiloni e anche questo, hanno sempre detto che l’Italia non può aderire al trattato sulla proibizione delle armi nucleari perché appartiene alla Nato, ma non esiste nessun obbligo nell’appartenenza alla Nato che dica che bisogna ospitare le armi nucleari statunitensi sul proprio territorio. Credo che le popolazioni in Italia e in Germania possano davvero svolgere un ruolo essenziale per il futuro del continente e credo anche che troverebbero il sostegno a livello dell’Unione europea. Penso anche a Federica Mogherini, che su queste cose è sempre stata molto trasparente contro le armi nucleari. Ho saputo che per esempio in Germania il sindaco di Mainz, di Magonza, sabato, quando sono uscite le notizie della sospensione del trattato INF ha aderito all’appello di ICAN per i sindaci, che conta già 150 adesioni in Italia. Mainz è la capitale della Renania-Palatinato, dove sono custodite le attuali bombe atomiche statunitensi, e questo appello dice che “noi crediamo che i nostri cittadini abbiano il diritto di vivere in un mondo libero dalla minaccia delle armi nucleari, e quindi a rappresentanza dei nostri cittadini noi poniamo questa firma perché questa è un’azione che esige una nostra competenza in quanto sindaci”».