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Minacce quotidiane

Non passa giorno senza che un amministratore locale venga minacciato o intimidito. È questo il primo dato che emerge dalla nuova edizione del rapporto Amministratori sotto tiro curato da Avviso Pubblico, associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano per promuovere la cultura della legalità democratica. In particolare, negli ultimi cinque anni, dal 2013 al 2017, Avviso Pubblico ha censito 2.182 atti intimidatori, di minaccia e violenza nei confronti degli amministratori locali.

Il fenomeno, inoltre, non mostra segni di recessione: nel 2011, anno della prima edizione del rapporto, erano stati censiti 212 casi, mentre da allora gli atti intimidatori sono aumentati del 153%.  «Negli ultimi 5 anni – racconta Claudio Forleo, giornalista e coautore del rapporto – abbiamo censito oltre 2000 atti intimidatori in tutta Italia». Per la prima volta, inoltre, nel 2017 si sono riscontrati casi in tutte le 20 regioni italiane.  «Parliamo di un fenomeno nazionale – prosegue Forleo – che coinvolge tutte le regioni d’Italia».

Nel pomeriggio di martedì 29 gennaio una delegazione di Avviso Pubblico sarà a Bruxelles per incontrare i parlamentari europei e presentare il rapporto, un tentativo di portare la questione a un livello ancora più ampio a pochi giorni dall’omicidio del sindaco di Danzica, Pawel Adamovicz, pugnalato a morte il 13 gennaio durante una serata di beneficienza.

Claudio Forleo, di quali fenomeni parliamo?

«Si tratta sia di intimidazioni più dirette, più visibili per la popolazione, come l’incendio di una casa, di un’auto, di una struttura comunale, oppure aggressioni, danneggiamenti di proprietà private, che possono sembrare inizialmente solo degli atti di vandalismo, ma che poi, se si va a scavare, dimostrano di essere qualcosa di più. Ci sono lettere intimidatorie, oppure gli spari contro le abitazioni, o l’invio di parti di animali, minacce tipicamente mafiose. Vengono rivolte agli amministratori per mandare un messaggio, per condizionare, per far capire che magari un atto amministrativo o una politica perseguita non vanno bene».

Si parla di un fenomeno nazionale, ma ci sono differenze geografiche?

«Il fenomeno è più concentrato nelle regioni dove le cosiddette mafie storiche sono nate, quindi le regioni del sud, ma sappiamo bene che ormai in altre regioni del centro-nord le mafie storiche hanno messo radici e sono nate mafie autoctone sul territorio. Tra nord e sud c’è una tipologia diversa di minacce: se andiamo a vedere l’evoluzione del fenomeno vediamo che se nel 2013 una minaccia su cinque veniva dal centro-nord adesso è una su tre. Tuttavia al centro-nord si tende a preferire un tipo di intimidazione meno visibile, meno eclatante».

Che cosa significa?

«Nell’ultimo rapporto ospitiamo un contributo del professor Nando Dalla Chiesa nel quale si racconta il modus operandi della ‘ndrangheta in Lombardia, ossia quello di “fare la mafia di nascosto”. Lui la chiama “una quotidiana violenza a bassa intensità”, cioè senza che desti allarme sociale: anziché incendiare l’auto, anziché sparare contro una casa, si preferisce mandare un messaggio minatorio, qualcosa che non è visibile dal pubblico e desta meno allarme sociale. Poi è anche vero che quella riserva di violenza che le mafie hanno comunque le possono utilizzare se magari i primi avvertimenti, se magari anche il tentativo di corruzione non funziona allora si usano maniere più forte».

Quindi stiamo parlando di un fenomeno da ricondurre soltanto alla criminalità organizzata?

«No. Circa un quarto delle intimidazioni non hanno una chiara matrice criminale, ma molto spesso sono comuni cittadini che minacciano, intimidiscono, aggrediscono personale della pubblica amministrazione. Il fenomeno non si risolve nel semplice contrasto tra legalità e illegalità o comunque tra stato-enti locali e criminalità organizzata: noi viviamo in una situazione sociale molto dura, frutto di dieci anni di crisi economica, per cui ci sono situazioni in vari territori del nostro Paese dove molte persone vanno in Comune a chiedere un lavoro, a chiedere un sostegno ed esplodono nella loro disperazione. Può succedere che un fatto molto banale, come ricevere una multa da poche decine di euro, faccia esplodere una situazione, perché la persona che non ha denaro deve decidere se pagare la multa o fare la spesa».

Questi rapporti riescono a raccontare ciò che emerge. Ma quanto pesa quel che rimane sommerso?

«Esistono molti casi che non vengono denunciati, però negli ultimi anni abbiamo capito che l’attenzione che stiamo ponendo sul tema non solo permette all’informazione di interessarsi di più, ma spinge anche gli amministratori a denunciare di più. È importante parlarne, sottolineare che il sindaco non deve sentirsi isolato, vedere che ci sono situazioni che sono comuni in molti territori. Proprio per questo, due anni fa Avviso Pubblico aveva organizzato la prima marcia nazionale di Amministratori sotto tiro in provincia di Reggio Calabria: oltre 200 amministratori avevano marciato per far sentire anche a chi non c’era di non essere soli, perché tutto questo quello che accade, quello che non viene fuori, è un attacco alla democrazia. È un attacco a tutti, perché cercare di intimidire un amministratore significa volerlo condizionare, e volerlo condizionare significa che pochi cercano di rovesciare la volontà di molti, che l’hanno eletto per portare avanti un’idea di politica, territorio, comunità».

Abbiamo parlato di un fenomeno di portata nazionale. Perché, dunque, presentarlo a Bruxelles?

«Perché ci siamo resi conto, a maggior ragione dopo quello che è successo a Danzica con l’assassinio del sindaco Adamowicz, che potrebbe essere un tema non solo italiano. Abbiamo fatto una breve ricerca sulla stampa italiana a proposito di fatti avvenuti all’estero abbiamo visto che ovunque in Europa ci sono casi di intimidazioni rivolti ad amministratori locali: Spagna, Inghilterra, Germania, Francia, Olanda. Abbiamo visto che determinate situazioni andavano a sovrapporsi con quelle che avevamo censito in Italia».