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Asia Bibi, anche in appello confermata l’assoluzione

La Corte suprema del Pakistan ha respinto il ricorso contro l’assoluzione di Asia Bibi. Si mette finalmente forse la parola fine sulla lunga battaglia legale che ha coinvolto dal 2009 questa donna cristiana, condannata a morte perché accusata di blasfemia. La donna, madre di cinque figli, che dopo la liberazione avvenuta lo scorso ottobre all’indomani della sentenza di primo grado è nascosta in un luogo sconosciuto, ora potrebbe finalmente lasciare il Paese.

Era il 2009 quando l’allora 39enne contadina del Punjab, madre di 5 figli, aveva osato prendere acqua da una fonte cui dovevano abbeverarsi anche le sue compagne di lavoro, operaie musulmane che cominciarono ad insultarla; acqua che a lei sarebbe stata vietata in quanto infedele cristiana. Asia rispose per le rime e quel litigio fu l’inizio del suo calvario: le donne, sostenute da un imam locale, accusarono la donna di aver insultato il profeta Maometto. Da lì la denuncia e l’arresto e la permanenza per 9 lunghi anni in isolamento nel carcere femminile di Multan.

Asia Bibi è la prima cristiana (cattolica) a essere condannata a morte in Pakistan secondo gli articoli del codice penale noti come «legge antiblasfemia». L’accusa è arrivata nel 2009 e nel 2010 un tribunale l’ha condannata alla pena capitale. Nel 2014, poi l’Alta Corte di Lahore ha confermato la sua condanna a morte. Tuttavia, la Corte Suprema nel luglio 2015 aveva sospeso l’esecuzione. Il 31 ottobre 2018 era arrivata l’assoluzione, confermata ora dal secondo grado di giudizio che mette il sigillo finale alla vicenda. Speriamo.

Negli anni le chiese cristiane locali e gli organismi internazionali hanno a più riprese lanciato appelli per la liberazione della donna, divenuta simbolo dell’assurda intolleranza religiosa. Stesso discorso vale per i media di tutto il mondo, mentre era scattata una mobilitazione generale per ospitare la donna e la famiglia, che ora dovranno ricostruire altrove una nuova vita.