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Le donne di Ravensbrück

Nel 1948 la giornalista e scrittrice tedesca Margarete Buber-Neumann scrisse il libro tradotto e pubblicato in italiano nel 1994 con il titolo Prigioniera di Stalin e Hitler. In tale documento autobiografico, l’autrice descrisse un’esperienza singolare che la vide protagonista fra gli anni 1938 e 1945. Dopo l’arresto a Mosca di suo marito, dirigente del Partito comunista tedesco caduto in disgrazia, l’autrice moglie di un «nemico del popolo» fu condannata alla «rieducazione» in un campo di lavoro siberiano. Nel 1940, a seguito del patto Ribbentrop-Molotov fra Unione Sovietica e Germania, molti comunisti tedeschi furono consegnati nelle mani della Gestapo. In tal modo, la Buber-Neumann passò direttamente dal gulag staliniano di Karaganda al lager nazista di Ravensbrück, dal quale fu liberata dagli Alleati nel 1945. Per sette anni era stata prigioniera prima di Stalin e poi di Hitler.

Prigionieri nella Germania nazista (1933-1945)

In almeno 85 pagine del suo libro di memorie, Prigioniera di Stalin e Hitler, l’autrice menziona un singolare rapporto instauratosi fra lei e un gruppo d’internate del campo di concentramento femminile di Ravensbrück, le testimoni di Geova. Riportiamo alcuni brani tratti da quelle pagine:

Pag. 189 “A Ravensbrück […] Le politiche portavano un triangolo rosso, le Testimoni di Geova lilla, le politiche ebree avevano una stella gialla sovrapposta al triangolo rosso, mentre le ebree macchiatesi di reati contro la razza erano riconoscibili dalla stella gialla e nera, le asociali dal triangolo nero e le criminali comuni da quello verde” .

 217-219 “«Lei è capocamerata dalle asociali?» «Sì». «Se la sentirebbe di diventare copoblocco?» [le fu chiesto dall’ispettrice generale] La sua proposta mi prese tanto alla sprovvista che farfugliai un «Non credo». «La nomino capoblocco del blocco numero 3, dalle Testimoni di Geova». Rimasi in silenzio. «Deve sapere che è il blocco delle ispezioni. Dev’essere mantenuto particolarmente in ordine. Prenda le sue cose e si trasferisca subito là!»”  “ […]

“A mezzogiorno, turbata da una ridda di emozioni contrastanti varcai la soglia del blocco 3 […] 270 donne erano sedute a magiare in perfetto silenzio. […] “Molte Testimoni erano rinchiuse nel campo da diversi anni. A parte alcune prigioniere politiche, le Testimoni di Geova avevano i numeri di immatricolazioni più bassi del campo…”

È opportuno ricordare, a questo punto, che l’atto che sancì l’inizio della lotta del nazismo contro le minoranze religiose in Germania risale al 28 febbraio 1933, quando fu pubblicato il “decreto per la protezione del popolo e dello stato”. Quell’atto, siglato almeno cinque anni prima che avesse inizio la deportazione programmata degli ebrei, segnò l’avvio della persecuzione delle minoranze religiose in Germania. Per quanto riguarda specificamente i testimoni di Geova, lo scioglimento, o la proscrizione, della loro associazione in Sassonia avvenne nell’aprile 1933. In quello stesso anno iniziarono gli arresti e le deportazioni dei singoli fedeli. Questo spiega perché alcune Testimoni di Ravensbrück all’incontro con la Buber-Neumann, nel 1942, avevano sulle spalle “diversi anni” di lager.

Prosegue l’autrice.

Pagg. 221-224 “Con le Testimoni di Geova mi sembrò di essere in paradiso. L’intero meccanismo che regolava la vita del blocco funzionava come un’orologio. […] Nel blocco numero 3 non si verificarono mai     furti, imbrogli o delazioni. Ogni Testimone di Geova era non solo consapevole dei propri doveri ma si sentiva anche responsabile della piccola comunità della baracca. […]

“La fede conferiva alle Testimoni di Geova una forza inesauribile e negli anni della loro permanenza nel campo dimostrarono tutte di affrontare impavide la morte e di saper sopportare in nome di Geova prove inaudite senza dar segni di cedimento. […]

“Attenendosi al comandamento biblico «Non uccidere», i Testimoni di Geova erano di conseguenza obiettori di coscienza, una scelta che era costata la vita a molti dei loro confratelli. Anche le prigioniere di Ravensbrück rifiutavano di eseguire qualunque attività a sostegno della guerra. […] In un certo senso, le Testimoni di Geova si potevano ritenere delle « prigioniere volontarie». Infatti per essere immediatamente rilasciate sarebbe stato sufficiente presentarsi dalla capo-sorvegliante e firmare una dichiarazione con la quale abiuravano la loro fede. Il testo del documento suonava all’incirca così: «Con la presente dichiaro che da questo momento non sono più una Testimone di Geova e non presterò più il mio sostegno all’”Unione internazionale dei Testimoni di Geova”, né con la predicazione, né con gli scritti…».

“Sino al 1942 le Testimoni che decisero di apporre la propria «firma» restarono degli isolati casi sporadici”.

Pag. 235 – “Non diffondevano la dottrina di Geova solo nel nostro blocco ma anche in quello delle zingare e ovunque se ne presentasse l’occasione, preparando l’«illuminazione di nuovi Testimoni». In breve tempo si susseguirono numerosi casi di conversione: asociali, zingare, una polacca, un’ebrea e una politica con reati lievi si presentarono nell’ufficio delle SS professandosi neo-Testimoni di Geova, chiedendo il triangolo lilla e il trasferimento nel blocco delle loro compagne di fede. Le SS le cacciarono via coprendole d’insulti…”

Pag. 252 – “…nella baracca delle Testimoni di Geova si accesero nuove e animate discussioni. Stavolta all’ordine del giorno c’era l’astensionismo dalle attività belliche. La colonna addetta all’«allevamento dei conigli d’angora» fu la prima ad interrompere il lavoro. Le Testimoni di Geova mi spiegarono di aver scoperto che il pelo dei conigli veniva utilizzato per scopi bellici…”

Pagg. 271, 272 – “Nell’autunno del 1942, nel nuovo convoglio diretto ad Auschwitz furono inserite tutte le Testimoni di Geova «estremiste».

“…vidi una colonna di Testimoni di Geova allineate da una parte della piazza del campo, di fianco all’edificio in muratura della prigione. […] Erano una quindicina di «estremiste» trasferite poco tempo prima ad Auschwitz e poi riportate indietro. […] Mi sforzai di dirle qualche parola […] «Verrò a trovarvi stasera, così potremo continuare a parlare di Auschwitz». «No, vedrai che ci sbattono nell’edificio delle celle per poi farci fuori».

“Scappai via con un groppo alla gola. Quello stesso giorno le donne salirono sull’autocarro del carcere, che le condusse fuori dal campo. Di lì a poco le divise con i loro numeri di matricola ed il triangolo viola ricomparvero nel magazzino del vestiario. Le avevano giustiziate per renitenza al lavoro”

Purtroppo, ancor oggi molti non sanno che i testimoni di Geova conobbero la ferocia dei lager e la spietata persecuzione nazista. Dei 20mila Testimoni in Germania nel 1933, alla salita di Hitler al potere, quasi la metà soffrì nelle prigioni e nei campi nazisti. Oltre 2.000 furono inviati nei campi di concentramento dove molti di loro trovarono la morte; almeno 200 furono  condannati alla pena capitale: fucilati, appesi ad un capestro o decapitati. 860 bambini furono sottratti ai genitori, nel tentativo di “rieducarli” al nazismo. Circa 2.500 fra dipendenti e imprenditori persero il lavoro, l’attività o l’esercizio commerciale; a 826 pensionati fu rifiutata la pensione.

Prigionieri nella Repubblica Democratica Tedesca (1945-1990)

Come abbiamo detto, nel 1945 Margarete Buber-Neumann fu liberata dagli Alleati. In quello stesso anno per molti testimoni di Geova tedeschi ebbe inizio la seconda parte di una esperienza analoga a quella toccata alla scrittrice, ma alla rovescia: da prigionieri di Hitler divennero prigionieri di Stalin. Dai lager nazisti, fra il 1933-1945, alle prigioni della Germania Orientale, nel quarantennio 1950-1990. Fu questa la sorte di un popolo pacifico e neutrale; brutalmente perseguitato in Europa, per oltre cinquant’anni, sotto due dittature. I nazisti tentarono di annientare fisicamente i Testimoni; i comunisti di annientarli moralmente.

BIBLIOGRAFIA

MARGARETE BUBER-NEUMANN, Prigioniera di Stalin e Hitler, Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 187-272;

BARBARA SPINELLI, Il sonno della memoria, Mondadori, 2001, pp. 12, 380;Stessa autrice, La barriera tanto amata, La Stampa,  8 luglio 2001;

Annuario dei testimoni di Geova del 1975, p. 213;

Annuario dei testimoni di Geova del 1999, pp. 77-84;

Annuario dei testimoni di Geova del 2002, pp. 142-234;

ALEKSÀNDR SOLZENICYN, Arcipelago Gulag, Mondadori, Milano, 1978;

GIORGIO ROCHAT, L’antimilitarismo oggi, Claudiana, Torino, 1973, pp. 99-112;