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Zimbabwe. Documento dei leaders delle Chiese e della società civile

Sono 8 le vittime accertate delle violenze avvenute negli ultimi giorni in Zimbabwe nel corso delle proteste contro il caro benzina. La notizia è stata data ieri dalla Commissione per i diritti umani, di nomina governativa, che ha accusato i militari locali di avere usato «sistematiche torture» per reprimere le proteste nel Paese, ed ha criticato le autorità per aver utilizzato le truppe allo scopo di sedare le manifestazioni.

Il giorno prima, lunedì 21 gennaio, i leaders del Consiglio delle chiese dello Zimbabwe e i rappresentanti della Società Civile si sono incontrati e hanno stilato un documento ufficiale nel quale oltre ad assumere la posizione di netto rifiuto dell’uso della violenza, si chiede al Governo di ripristinare lo stato di diritto e il costituzionalismo e di rivedere la propria politica economica.

Nel documento si riconosce che «le politiche neoliberiste e di austerità adottate dal Governo dello Zimbabwe, nel tentativo di rilanciare l’economia, mancano di un’ampia consultazione dei cittadini e hanno già iniziato a infliggere gravi difficoltà, malcontento e disordini sociali».

«L’insoddisfazione dei cittadini nei confronti dell’attuale direzione della politica economica governativa – prosegue il documento – è stata accentuata dall’apparente inerzia del Governo nell’affrontare le accuse di corruzione dilagante per quanto riguarda l’assegnazione di valuta estera da parte della Reserve Bank e la mancanza di trasparenza nelle industrie del combustibile e nelle industrie estrattive. Ciò dà origine alla crescente percezione che i funzionari pubblici siano i beneficiari di questa corruzione endemica».

Chiese e Società civile riconoscono che «in tutto il mondo, l’imposizione dell’austerità e delle politiche economiche neo-liberiste senza la piena partecipazione dei cittadini ha portato inevitabilmente alla frammentazione della società, alla riduzione dei diritti fondamentali e alla repressione violenta.

Un’economia stabile e inclusiva, basata su una crescita economica ridistributiva, creatrice di posti di lavoro e guidata localmente, è essenziale per il raggiungimento di una società libera e fiorente in cui i diritti umani fondamentali sono osservati e rispettati».

Nel corso dell’incontro i leader delle Chiese e della Società Civile hanno avuto modo di analizzare alcuni dossier che evidenziano che nei quartieri poveri urbani e in alcune zone rurali la violenza e gli arresti arbitrari degli ultimi giorni hanno coinvolto soprattutto giovani uomini. Dalle testimonianze raccolte si evince che spesso la polizia è stata in prima linea nelle azioni violente e che il dispiegamento dell’esercito per reprimere i disordini civili ha portato alla perdita di vite umane e a violazioni dei diritti umani.

Il documento chiede che ci sia «un immediato ritorno al costituzionalismo e al rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini. Le pressioni che incombono sulla maggioranza dei cittadini dello Zimbabwe possono essere risolte solo attraverso un pacifico impegno nonviolento».

Inoltre gli estensori del documento «sollecitano il Presidente della Repubblica e il comandante in capo delle Forze di difesa dello Zimbabwe a supervisionare un immediato ritorno al costituzionalismo ritirando i soldati dalle strade e aprendo l’accesso a Internet e ai social media in consonanza con la posizione ufficiale del Governo secondo cui la situazione è tornata alla normalità».

Infine, si scoraggia l’uso della violenza, i saccheggi, la distruzione delle proprietà, che minano la validità e la legittimità del diritto costituzionale alla protesta, e invita lo Stato e il popolo dello Zimbabwe al dialogo per cercare soluzioni e formulare una visione nazionale vincolante.

Sulla situazione in Zimbabwe è intervenuto Giovanni Arcidiacono, presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia che ha siglato nel 2006 una partnership con la Baptist Convention of Zimbabwe, e il Consiglio delle chiese dello Zimbabwe.

Anche il Consiglio ecumenico delle Chiese in Zambia (CCZ), che include le Diocesi anglicane nel paese, si è unito ad altre Ong e gruppi cristiani per esprimere «profonda preoccupazione» per la crisi nel vicino Zimbabwe. In una dichiarazione congiunta rilasciata dalla CCZ, dalla Caritas Zambia, dall’Agenda costituzionale della società civile, dal Consiglio di coordinamento delle organizzazioni non governative di genere, dall’Alleanza per l’azione comunitaria e l’aiuto di azione, si chiede una risposta internazionale e si dice: «come attivisti della società civile, non possiamo stare inattivo mentre i nostri vicini vengono picchiati, arrestati, detenuti e uccisi».

«Invitiamo quindi il governo dello Zimbabwe, attraverso il Presidente Emmerson Mnangagwa, a porre immediatamente fine alle violazioni dei diritti umani contro i suoi cittadini e al rispetto dello stato di diritto. Invitiamo anche il presidente dello [Zambia] Edgar Lungu, come presidente della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC), organo per la difesa e la sicurezza politica, e qualsiasi membro influente della comunità internazionale, inclusa l’Unione africana, ad avere un vivo interesse per gli avvenimenti nello Zimbabwe prima che si perdano altre vite innocenti. Lo Zimbabwe merita di meglio dai suoi leader e dalla comunità internazionale».