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Separazione fra Chiesa e Stato, la Grecia ci prova

Dopo l’annuncio del 6 novembre scorso, cui sono seguiti due mesi di trattative frenetiche, il Parlamento greco è pronto ad approvare, nelle prossime settimane, la legge che sancirà la separazione ufficiale fra Chiesa e Stato. Un accordo storico in un paese in cui la presenza ortodossa nello spazio pubblico è sempre stata assai rilevante. Non sono mancate le polemiche, soprattutto da buona parte degli 8mila membri del clero, che teme di perdere il proprio peso specifico e accusa l’arcivescovo di Atene e primate della Chiesa ortodossa greca Ieronymos II di aver condotto trattative con il governo (durate tre anni) tenendo all’oscuro il Santo Sinodo e il resto della chiesa.

I sacerdoti hanno tenuto veglie, minacciato di scomunicare il primo ministro Alexis Tsipras e promesso di esortare gli elettori a non votare più per il suo partito, Syriza. Ma la separazione dei poteri era uno dei punti del programma di governo presentati dal premier, forte anche dell’appoggio della popolazione, che per la prima volta, secondo i sondaggi, sarebbe in maggioranza favorevole a veder chiaramente distinti i due poteri. Ancora nel 2000, quando il governo decise di togliere l’indicazione di appartenenza religiosa dai documenti di identità scese in piazza un milione di persone a protestare.

Cosa cambia in sintesi con la nuova legge: i membri del clero perderebbero lo status di dipendenti pubblici, per cui lo Stato non pagherebbe più direttamente il loro stipendio, ma girerebbe l’equivalente monetario (circa 200 milioni di euro all’anno) ad un fondo della chiesa greca cui spetterebbe infine la distribuzione.

In pratica poco pare cambiare, ma la gerarchia ortodossa teme di perdere i benefici di dipendente pubblico. Un fondo immobiliare comune dovrebbe anche gestire i tantissimi terreni contesi fra il demanio e la chiesa, ponendo fine a secolari contese e soprusi, e i profitti derivanti venire divisi a metà garantendo alti gettiti alle parti. Tutti quelli che non sono luoghi di culto saranno soggetti all’imposta patrimoniale. Si tratta di equilibri delicati, in una nazione al 90% ortodossa e che per secoli si è identificata con la sua chiesa.

Nel tentativo di placare i disordini e le proteste il governo ha accettato di proseguire il dialogo e il Sinodo ortodosso ha nominato una commissione per analizzare la nuova legislazione. Ma a settembre si vota per il rinnovo del Parlamento e il premier Tsipras vuole arrivare all’appuntamento con in tasca un accordo solido e chiaro relativo alla neutralità dello Stato. L’attuale testo costituzionale, datato 1975 all’indomani della caduta della dittatura dei colonnelli e basato su due secoli di accordi in tal senso, pur non riconoscendo l’ortodossa come Chiesa di Stato la definisce “religione predominante”. Togliere al clero l’appartenenza ai funzionari pubblici dovrebbe consentire al governo di avviare

Anche il patriarca ecumenico Bartolomeo, primus inter pares del panorama ortodosso, ha reagito negativamente alla proposta di scissione dei poteri. L’arcivescovo di Costantinopoli vede il rischio di un’abolizione delle festività religiose, della rimozione dei simboli religiosi dallo spazio pubblico e dell’apertura all’insegnamento delle altre religioni nelle scuole, tutte disposizioni che però nel testo non compaiono. C’è da ricordare che l’autorità del primate della chiesa greco ortodossa non si estende su tutto il territorio. Delle 77 diocesi del Paese, 36 sono sotto la giurisdizione proprio del Patriarcato di Costantinopoli: si tratta di tutta la fascia settentrionale, fra cui il monte Athos, e delle principali isole dell’Egeo, compresa Creta.

Il 10 dicembre, proprio il Santo Sinodo provinciale di Creta ha deciso di non avvallare l’intesa Tsipras-Ieronymos, in particolare nei punti relativi al cambio di status del clero e sull’uso della formula “neutralità religiosa” nella Costituzione. Il Sinodo cretese in un annuncio ha detto che l’accordo «si tradurrà nella perdita della società greca delle sue tradizioni greco-ortodosse … e comporterà l’estinzione della Chiesa ortodossa dallo spazio pubblico».

L’accordo arriva in un momento in cui la nazione si sta riprendendo da una crisi finanziaria lunga e drammatica che ha costretto il governo a varare misure restrittive che hanno profondamente impoverito milioni di persone. Le tensioni sono però molto alte per l’accordo con la Macedonia sull’utilizzo del nome: ad Atene feroci scontri si sono verificati in questi giorni in cui il Parlamento è chiamato a ratificare l’accordo con il governo macedone per vedere definita Macedonia del nord l’attuale Stato nato dopo la dissoluzione della Jugoslavia. Nazionalisti e clero greci hanno alzato barricate contro quello che ritengono un accordo che distorce la storia attribuendo il nome di Macedonia ad un’area geografica che a loro avviso dovrebbe rientrare nei confini ellenici.

Quel che non ha fatto la crisi economica, cioè lacerare il Paese, rischiano di farlo le rivendicazione storico-religiose.