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“È Stato il Vento”, una fondazione per far rinascere Riace

Per Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, il 2019 si è aperto con una nuova cattiva notizia: su decisione del giudice delle indagini preliminari di Locri, Lucano dovrà continuare a stare lontano dalla sua città. Accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver celebrato un matrimonio che avrebbe permesso ad una ragazza nigeriana di ottenere documenti validi per restare in Italia e di abuso d’ufficio, nell’ottobre scorso era finito ai domiciliari e poi era stato allontanato da Riace per ordine dei giudici. Nel frattempo, quello che era un modello di accoglienza e integrazione riconosciuto a livello internazionale si è svuotato, fino a essere ridotto a poco più di un ricordo. «Purtroppo – racconta Chiara Sasso, scrittrice valsusina che nel 2018 ha pubblicato il libro Riace, una storia italiana, edito dal Gruppo Abele, e che è componente della Rete dei Comuni Solidali – oggi rimane ben poco, perché tutte le attività che erano state organizzate in quel piccolo paesino della Locride di 1800 abitanti, sono praticamente ferme. Le botteghe artigianali sono chiuse, il ristorante che veniva gestito dai riacesi e dai migranti insieme è chiuso, così come la fattoria didattica. È una fotografia veramente desolante».

Al di là di come si svilupperà la vicenda giudiziaria di Lucano, per diverse realtà della società civile la priorità oggi è quella di rilanciare i progetti di Riace. Proprio per questo, lo scorso 12 gennaio a Caulonia sono state poste le basi per la creazione di un comitato promotore per la Fondazione È stato il vento, che coinvolge una rete di associazioni e movimenti che va dalla Rete dei Comuni Solidali all’Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, e che coinvolge figure come il missionario comboniano Alex Zanotelli, i magistrati Livio Pepino ed Emilio Sirianni, il medico Felicetta Parisi e la stessa Chiara Sasso. «Abbiamo voluto intitolarlo in questo modo – racconta Sasso – prendendo le parole del sindaco, che ogni volta che racconta l’inizio di questa storia, quasi a scusarsi che non fosse stata un’idea sua, dice che “è stato il vento a trasportare una nave carica di curdi sulle coste ioniche nei pressi di Riace e da lì è partito un po’ tutto”».

L’idea è quella di mettere le basi per far ripartire Riace, cercando di fermare il declino dei progetti di accoglienza e di tutte le attività collaterali, che avevano garantito al paese un rilancio sia in termini di demografia che in termini di visione per il futuro. «Questo comitato – prosegue Chiara Sasso – vuole prima di tutto raccogliere i fondi necessari per creare la fondazione, dopodiché essere il motore per aiutare le associazioni sul territorio che devono continuare a fare le cose che hanno sempre fatto. Il piccolo particolare è che ora devono farlo senza poter contare sui fondi della Prefettura, attraverso i progetti Cas, o del ministero attraverso lo Sprar, fondi che da due anni sono stati sospesi. Nel 2017 e nel 2018, nonostante i servizi siano stati erogati, questi fondi non sono ancora arrivati. Questo, prima ancora dell’arresto del sindaco, è stato uno dei motivi che ha messo in ginocchio il progetto tutto, perché ci sono fornitori e operatori che attendono di essere pagati».

Come già successo con le organizzazioni impegnate nel salvataggio in mare delle persone migranti, anche per Riace l’apertura di un’indagine ha portato improvvisamente a considerare l’esperienza del borgo calabrese come negativa nel suo complesso. In attesa degli sviluppi giudiziari, che non mettono comunque in discussione il modello nel suo complesso, è importante interrogarsi su che cosa vada recuperato da un’esperienza durata 20 anni e studiata, copiata e discussa a ogni livello. «L’integrazione, una brutta parola perché la usiamo a volte a sproposito, lì ha funzionato», racconta ancora Chiara Sasso. «Meglio: la convivenza tra persone richiedenti asilo e persone di un piccolo paese calabrese in 20 anni ha funzionato benissimo: non ci sono mai stati episodi di violenza o di altro genere, anche se il paese ha avuto in certi momenti anche una presenza di 300-400 migranti. Gli abitanti di questo piccolo borgo, come altri, hanno mantenuto l’abitudine di vivere in modo molto tranquillo, con le porte delle case sempre aperte».