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Un nuovo stop per Open Arms

Oltre 17.000 persone sono morte nelle acque del Mediterraneo tra il 2014 e il 2018 e tra queste poco meno di 15.000 solo lungo la rotta del Mediterraneo centrale, che collega, o separa, Nord Africa e Italia. Lunedì 14 gennaio, nel giorno in cui l’Organizzazione internazionale per le migrazioni pubblica questo nuovo bilancio delle morti di persone migranti, dalla Spagna arriva un nuovo ostacolo alle operazioni di salvataggio nel Mar Mediterraneo.

La direzione generale della Marina mercantile spagnola, che corrisponde alla nostra Capitaneria di porto, ha deciso di impedire alla nave Open Arms, gestita dall’ong catalana Proactiva Open Arms, di salpare dal porto di Barcellona in direzione delle acque internazionali di fronte alla Libia, dove svolge operazioni di ricerca e soccorso, una decisione comunicata via Twitter dal fondatore di Proactiva Open Arms, Oscar Camps.

La decisione, racconta il capomissione della ong, Riccardo Gatti, è stata «motivata in modo un po’ strano: noi infrangiamo le normative internazionali che prevedono che le persone salvate in mare debbano essere lasciate il prima possibile nel porto sicuro». Ma la responsabilità di questa violazione, spiega il documento della Marina mercantile, non va cercata in problemi tecnici della nave o in documenti non in regola, ma nel mancato rispetto del diritto internazionale da parte di Italia e Malta, che da mesi stanno negando l’accesso ai loro porti alle navi delle ong. «essendo loro – chiarisce Gatti – gli Stati più vicini alla zona di ricerca e soccorso, dovrebbero permettere secondo normativa che le persone siano sbarcate il più velocemente possibile. La negazione dell’autorizzazione non implica noi come responsabili di queste violazioni, ma vengono indicati come responsabili appunto Malta e Italia, anche se poi viene bloccata la nave perché ci dicono che non ci sono le condizioni, e che siccome non possiamo aspettarci che Italia e Malta si comportino in modo diverso, allora non possiamo partire».

La Marina mercantile spagnola ha aggiunto che Open Arms potrà riprendere le sue operazioni di soccorso al largo della Libia solo quando le autorità che gestiscono le zone di ricerca e soccorso dei paesi coinvolti, ovvero la Libia oltre alle già citate Malta e Italia, troveranno un accordo per portare le persone migranti nei porti sicuri più vicini.

Una decisione come questa, presa con queste motivazioni, sembra aprire un fronte politico tra il governo spagnolo e quelli italiano e maltese, ma sul piano pratico e sul breve periodo crea soprattutto l’impedimento al salvataggio delle persone che cercano di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa e presentare la propria richiesta di protezione internazionale, che oggi rappresenta l’unica via possibile di accesso in assenza di canali legali per la ricerca di lavoro o per l’asilo politico. «Fermare noi – continua infatti Riccardo Gatti – vuol dire mettere a rischio la sopravvivenza delle persone. Proprio oggi il brutto tempo inizierà a diminuire anche nella zona Sar e ciò potrebbe favorire delle partenze e purtroppo un grande rischio per le persone in mare».

La campagna politica e giudiziaria contro le organizzazioni non governative che operano sulla rotta del Mediterraneo centrale ha imposto negli ultimi mesi cambiamenti profondi all’intervento umanitario: da Sea Watch a Sea Eye, da Proactiva Open Arms alla piattaforma Mediterranea, per le realtà che hanno ancora la possibilità di muoversi in mare l’unica strada è quella di una collaborazione sempre più stretta. Eppure, secondo Riccardo Gatti, non basta, perché è necessario «che tutto ciò coinvolga la società civile a terra per il fatto che la migrazione è qualcosa di normale e che deve essere affrontata da tutte e da tutti. Vedendo che negli ultimi due anni le azioni contro le ong volgono sempre al fatto di cercare di farci sparire, di far scomparire degli occhi scomodi e anche chi soccorre in mare, abbiamo pensato che la cosa migliore è proprio unire le forze, perché c’è bisogno di portare avanti una continuità del soccorso in mare, anche perché il numero di vittime in mare è veramente molto elevato».