istock-617352158

Canadesi e religioni nello spazio pubblico

Religioni nello spazio pubblico: una tema dibattuto in diversi Paesi, tra le imposizioni di una Chiesa fortemente dominante, o di un’esasperata laicità, tra le istanze di religioni diverse o di una crescente secolarizzazione e indifferenza al fatto religioso.

Pure in Canada, che anche sotto questo aspetto appare molto più defilato rispetto ai vicini Stati Uniti, il dibattito ferve da decenni toccando diversi temi: le preghiere in apertura di incontri pubblici, il finanziamento di scuole confessionali, il velo islamico.

Un recente sondaggio svolto dall’Angus Reid Institute, istituto no-profit di ricerca indipendente, in collaborazione con Cardus, gruppo di riflessione religioso apartitico, ha voluto sondare le opinioni. Circa 2200 canadesi hanno risposto a un questionario di 17 domande suddivise in tre ambiti: il contributo dei gruppi religiosi alla vita sociale, la rilevanza del dato religioso oggi, la libertà religiosa e il rispetto per la religione altrui.

La questione era capire se la popolazione è favorevole o meno alla presenza delle religioni nello spazio pubblico, e quali sono le differenze fra i vari segmenti di popolazione. I millennials, ad esempio (i giovani nati tra il 1980 e il 2000), sembrano avere un atteggiamento più aperto, anche nei confronti (per esempio) di migranti o persone lgbt.

«Guardando al Canada, si potrebbe avere l’impressione che abbia imboccato una via senza ritorno verso la laicità, come l’Europa, ma forse non è questo il caso» ha commentato Angus Reid, presidente dell’omonimo istituto, nell’articolo pubblicato da Réformés.

Il parere dei canadesi sulla rilevanza delle comunità di fede nelle questioni sociali è profondamente diviso. Infatti, se il 59% dei canadesi si pronuncia a favore della presenza della religione nella società civile, convinto che porti un miglioramento, soprattutto negli ambiti dell’assistenza, dei servizi sociali, delle cause civili, della giustizia, e in misura minore dell’educazione (in cui i pareri positivi e negativi sono vicini, il 28 e 25%), è anche vero che il campione identificato dal sondaggio era diviso in tre parti equivalenti fra i favorevoli (37%) i contrari (32%) e gli incerti (32%).

All’interno del gruppo dei “favorevoli”, sottolinea lo studio, chi immagina di trovare soprattutto persone di una certa età e di atteggiamento conservatore, si stupirà di trovarvi invece i più giovani, istruiti e sostenitori dell’ala democratica. E c’è di più: un quarto dei più favorevoli ad accettare la «fede nel pubblico» non ha mai letto un testo religioso. Diversamente, il sondaggio mostra che non sempre le persone con convinzioni religiose più solide sono aperte al credo di altri, o vogliono vederlo incluso nel discorso pubblico, si legge nella presentazione del sondaggio.

L’idea che un’educazione religiosa, incentrata sulla fede, possa modellare anche cittadini migliori, è sostenuta dalla metà dei favorevoli e degli incerti, mentre è respinta dal 68% dei contrari. E sull’annosa questione dell’insegnamento del fatto religioso nelle scuole, sette canadesi su dieci ritengono che i fondamenti delle principali religioni mondiali dovrebbero essere materia di studio (una percentuale analoga è altresì convinta che i leader di governo dovrebbero avere conoscenza di tali principi).

Eppure, sollecitati su quale dovrebbe essere l’influenza di chiese e gruppi religiosi nella vita pubblica, solo uno su 10 (in media l’11%, con una percentuale maggiore tra i millennials, 15%, e una percentuale più bassa, l’8%, tra gli over 55) ritiene che questa influenza dovrebbe essere maggiore. Molto più alte, in tutte le fasce d’età, le percentuali di chi opta per «qualche influenza», «non molta», o che è convinto che la religione non appartenga alla vita pubblica (il 23% dei giovani, il 31% degli adulti, il 28% degli over 55). Più della metà del campione (il 53%) è d’accordo con l’affermazione «ridurre la presenza della religione nella nostra vita pubblica è un segno di progresso della società».

Insomma: le religioni danno un contributo alla società, soprattutto dal punto di vista sociale, ma la pratica religiosa è un fatto privato che non dovrebbe interferire con il pubblico. Segni di un certo disagio nei confronti della manifestazione pubblica delle religioni, il fatto che la metà degli intervistati non si senta «a proprio agio con persone che indossano simboli e indumenti religiosi sul luogo di lavoro» (anche se sono più numerosi quelli che ritengono che «avere persone di diversi background religiosi nella propria comunità sia un valore aggiunto»), e che circa il 40% non sostenga la libertà religiosa (forse più per scarsa conoscenza delle altre religioni che per convinzione, commenta il vicepresidente di Cardus, Ray Pennings): per il 14%, addirittura, la libertà religiosa rende il Canada un paese peggiore.