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Pittura contemporanea e sacro

Se per i protestanti la presenza di opere d’arte nei luoghi di culto non è mai stata centrale, per la chiesa cattolica gli artisti sono invece sempre stati un mezzo fondamentale di trasmissione dei contenuti della fede. Un rapporto che per secoli è stato indissolubile, grazie alle grandi committenze che hanno permesso agli artisti di sopravvivere e diventare punti di riferimento per l’arte italiana nel corso dei secoli. Un rapporto che ha avuto una nuova spinta durante la Controriforma e che ha portato alla fama artisti come Caravaggio e Bernini. Ma è ancora così?

Sebbene il rapporto tra arte e chiesa oggi non sembri essere così simbiotico come nei secoli scorsi, la ricerca dell’arte verso i temi della fede e della spiritualità non si è interrotta.

Una mostra ad Ascoli Piceno, L’arte che protegge – Pittura contemporanea e sacro. Una ricognizione nel panorama italiano dell’arte sacra contemporanea, esposta presso Palazzo dei Capitani del Popolo, secondo una precisa scelta del curatore Camillo Langone vuole mettere in scena questa ricerca attraverso lo sguardo di artisti contemporanei, viventi. Hanno tutti età diverse, stili diversi, spiritualità e tecniche diverse. Tutti consapevoli e coscienti dei grandi cambiamenti che rappresentano il secolo in cui sono nati, il ‘900, e che quindi porta le opere ad avere caratteri diversi per sfociare anche nel non figurativo.

Ne parla il curatore delle collezioni comunali di Ascoli, Stefano Papetti.

Come si colloca l’arte sacra nel panorama contemporaneo e in che modo si compone la mostra?

«L’idea che sottende il percorso espositivo, la scelta degli artisti, è volta a riattivare un percorso virtuoso che veda una collaborazione un po’ più stretta tra gli artisti del nostro tempo e la chiesa cattolica. L’ambizione è quella di mettere in evidenza come si possa essere contemporanei e nel contempo anche efficaci nell’esprimere dei valori spirituali adeguati ai dipinti che dovrebbero essere collocati nelle chiese. Oggi pare di cogliere una certa disattenzione rispetto alla trasmissione del pensiero religioso attraverso i dipinti, le sculture e in generale le opere degli artisti contemporanei. Noi partiamo dal presupposto che in più occasioni, dal pontificato di Paolo VI in poi, gli artisti contemporanei sono stati sollecitati ad occuparsi di tematiche che attendano la fede e la religione. In questa linea si colloca la mostra».

La fede e la spiritualità sono vissute sempre più a livello personale. Come si legge questo nelle opere degli artisti contemporanei?

«Certamente nel momento in cui l’artista affronta dei temi che hanno a che fare con la sfera del sacro, non le semplici immagini che riproducono pittoricamente quello che è contenuto nei testi sacri, ci debba essere però un certo rigore nel proporre qualcosa che possa assolvere quel compito di carattere educativo che ci si aspetta. Le Marche, dalla seconda metà del ‘500 in poi, sono state sempre un laboratorio in cui si è cercato di coniugare l’esigenza creativa degli artisti con l’esigenza della chiesa di avere delle immagini che fossero esemplificative e didascaliche, in vista di una capacità di essere immediatamente percepita come riconoscibile e come espressione di valori culturali. Da questo punto di vista il fatto che si ritorni ad Ascoli a proporre una sorta di nuovo collegamento tra gli artisti e la chiesa, si iscrive in un percorso che qui è cominciato già dopo la controriforma nella seconda metà del ‘500, ed ha avuto dei momenti molto importanti. Per esempio con la decorazione del santuario di Loreto, a fine ‘800, in un’epoca in cui dilagava il positivismo e in cui forse gli artisti non erano così interessati al tema del sacro».

Quindi l’arte non ha smesso di ricercare la rappresentazione spirituale, bisognava solo rimetterla in contatto con la chiesa?

«Una sollecitazione che è stata uno dei grandi meriti di Paolo VI: quello di incaricare il suo segretario di riallacciare  i rapporti con gli artisti per creare nell’appartamento Borgia dei Musei Vaticani una sezione dedicata ai pittori contemporanei, che fino agli anni ‘70 non esisteva».