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Personae

Elliott Erwitt, il cui nome completo è Elio Romano Erwitt, nasce a Parigi da genitori ebrei di origine russa che scappano dal paese quando scoppia la rivoluzione. Passa i primi anni della sua vita in Europa e anche in Italia, Paese a cui rimane affezionato per tutto il corso della sua vita.

È riconosciuto come uno dei grandi della fotografia, specializzato in pubblicità e documentaristica. Come racconta Biba Giacchetti, curatrice della mostra attualmente in corso alla Reggia di Venaria fino al 24 febbraio, ha avuto una vita intensa e avventurosa: «Erwitt ha compito 90 anni l’anno scorso, sta negli Stati Uniti e gode ancora di ottima salute. Ha sicuramente avuto una vita straordinariamente avventurosa, in questi 90 anni ha attraversato le situazioni più incredibili. La famiglia lascia la Russia e da bambino vive proprio in Italia, da cui deve andarsene a causa delle leggi razziali. Si rifugia in America, dove compie gli studi, poi si stabilisce a New York e  si unisce all’esercito americano. Nell’esercito comincia a scattare fotografie, ritorna in Italia, vince dei premi con il suo lavoro. Rientrando negli Stati Uniti incontra i grandi della fotografia dell’epoca, tra cui Robert Capa, che aveva appena fondato la Magnum, ed entra a far parte del gruppo di cui, nel tempo, diventerà anche presidente. Proprio pochi giorni fa mi rammaricavo del fatto che ancora non sia stata scritta una biografia su questo artista»

La mostra si intitola Personae perché Erwitt ha sempre messo al centro della sua poetica l’essere umano e le sue maschere, da qui proviene anche la grande componente ironica che caratterizza il suo lavoro. In scena vanno le gioie, le miserie, i grandi sentimenti dell’uomo, anche attraverso la metafora delle foto canine che lui spesso ha proposto. L’ironia accompagna tutte le sue fotografie, accostata comunque a una grande serietà e capacità di riflessione.

Questa mostra in particolare è una prima mondiale perché per la prima volta propone, insieme agli scatti in bianco e nero, anche le foto a colori. Un percorso che ha coinvolto anche l’artista e di cui parla la curatrice, Biba Giacchetti: «Per lui è stata una grandissima emozione perché le ha viste stampate per la prima volta. Nell’epoca in cui si cominciavano a fare le fotografie la generazione dei fotografi di Elliott scattava in bianco e nero, perché così potevano avere il controllo del negativo e stampare loro stessi. Negli anni ‘40 e ‘50 il colore era ancora molto instabile ed era anche molto costoso quindi veniva usato quando c’erano dei servizi commissionati da parte di giornali o grandi clienti. Spesso però queste immagini venivano trattenute da chi aveva commissionato il servizio. Per fortuna Elliott, appartenendo all’agenzia Magnum, la prima a lottare per il mantenimento del copyright degli autori, è riuscito ad avere i negativi indietro. Sono rimasti giacenti per molti anni ed è stato solo con l’avvento della fotografia digitale che lui ha potuto scansionarli e rivederli a video. Ha passato tre mesi in un’immersione totale in cui ha visto milioni di fotografie, ha selezionato circa 500 immagini ed ha pubblicato nel 2014 un libro che si chiama Color. È stato interessante anche l’aver potuto rileggere questo archivio con un occhio critico; per questo gli ho proposto di fare questa prima mostra dedicata alle sue fotografie a colori e insieme le abbiamo selezionate e costruito questo percorso ora negli spazi della Venaria Reale».