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Pakistan. La Dichiarazione di Islamabad

Il 6 gennaio scorso nella capitale del Pakistan oltre 500 imam pachistani hanno firmato la «Dichiarazione di Islamabad» contro il terrorismo islamico, le violenze compiute in nome della religione e le «fatwa» (editti) emanate in maniera indiscriminata dagli ulema radicali. La dichiarazione è stata siglata nel corso della Conferenza «Seerat-e-Rehmat-ul-Alameen» (SAW), riunita sotto l’egida del Consiglio pachistano degli ulema (Puc).

Un documento storico per il Pakistan, ufficialmente Repubblica islamica del Pakistan, segnato da continui attentati fondamentalisti contro le minoranze religiose: non solo cristiani, ma anche membri di sette considerate «infedeli», come gli ahmadi e gli sciiti.

A rendere ancora più singolare la «Dichiarazione di Islamabad», una risoluzione ad essa allegata contenente un riferimento esplicito a Asia Masih, meglio conosciuta come Asia Bibi, emblema delle violazioni della normativa anti-blasfemia. La donna cristiana condannata a morte e assolta dall’accusa di blasfemia dopo nove anni passati in prigione , è in attesa di lasciare il Pakistan, dove la sua vita è ancora in pericolo a causa dei radicali islamici che, considerando la sentenza di assoluzione una «vergogna, hanno presentato una richiesta di revisione del verdetto. Al riguardo, i 500 firmatari chiedono al ministero della Giustizia di esaminare il suo caso con assoluta «priorità», in modo «da far conoscere all’opinione pubblica la verità giuridica», sulla vicenda.

Il documento – come riportato dal sito di Asianews – si compone di sette punti e contiene elementi rilevanti per la libertà religiosa.

Al punto n. 1, esso condanna gli omicidi compiuti «con il pretesto della religione», affermando che tutto questo «è contro gli insegnamenti dell’islam». La dichiarazione afferma che nessun leader religioso ha il diritto di criticare i profeti (n. 2) e nessuna setta deve essere dichiarata «infedele» (n. 3): pertanto nessun musulmano o non musulmano può essere dichiarato «meritevole» di essere ucciso tramite sentenze pronunciate al di fuori dei tribunali, e i fedeli di ogni religione o setta hanno il diritto costituzionale di vivere nel Paese in base alle proprie norme culturali e dottrinali.

Da questo aspetto deriva anche il diritto a organizzare in maniera autonoma le proprie congregazioni con il consenso delle amministrazioni locali (n. 4) e il divieto totale di pubblicare materiale (libri, opuscoli, audio) che incitano all’odio religioso (n. 5).

Riconoscendo che il Pakistan è un Paese multi-etnico e multi-religioso, la «Dichiarazione di Islamabad» sottolinea al punto n. 6 che «è responsabilità del governo proteggere la vita e le proprietà dei non musulmani che vivono in Pakistan. Il governo deve trattare con fermezza gli elementi che minacciano i luoghi sacri dei non musulmani residenti in Pakistan».

L’ultimo punto del documento (n. 7) ribadisce l’importanza di applicare il Piano d’azione nazionale nella lotta al fondamentalismo e decreta il 2019 come l’anno dedicato a «sradicare il terrorismo, l’estremismo e la violenza settaria dal Paese», che nel 2018 hanno determinato la morte di quasi 600 persone.