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Dialogo fra le chiese cristiane, a che punto siamo?

Nel mese di dicembre si è tenuto a Roma il secondo incontro del terzo ciclo di dialogo tra l’Alleanza battista mondiale (ABM) e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (PCPUC). Della delegazione battista hanno fatto parte, tra gli altri, la pastora Anna Maffei e il teologo britannico Paul Fiddes, docente di teologia sistematica all’Università di Oxford, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Professor Fiddes, a che punto è il dialogo tra i battisti mondiali e la chiesa cattolica romana?

Il dialogo tra l’ABM e il PCPUC è iniziato nel 1985 con un primo ciclo di incontri servito soprattutto ad approfondire la conoscenza reciproca. Ad esso è seguito un secondo ciclo, dal 2005 al 2010, incentrato sul tema della Parola di Dio nella vita della chiesa che ha comportato una riflessione sulla teologia trinitaria, sulla natura della chiesa, sulla figura di Maria, sui sacramenti. Questo terzo ciclo, iniziato lo scorso anno, ha come tema generale “La testimonianza che la chiesa rende a Cristo e la dinamica del Vangelo”. In particolare, nelle riunioni tenutesi a Roma a dicembre abbiamo individuato quattro aree principali di testimonianza: le migrazioni; la famiglia nella società oggi; la crisi ambientale; la ricerca spirituale nelle società secolarizzate e multiculturali.

In queste quattro ambiti, qual è il contributo specifico che i battisti portano?

Nei nostri incontri la priorità è la ricerca di una testimonianza comune che emerge anche grazie al contributo delle specificità confessionali che, lungi dall’ostacolare, arricchiscono il dialogo. La teologia cattolica offre una forte consapevolezza dell’universalità della chiesa. La nostra specificità di battisti è invece legata al fatto di essere ovunque nel mondo, anche nei luoghi in cui la nostra presenza numerica è consistente, chiese di minoranza. Per questo tendiamo ad avere particolare simpatia verso tutti i gruppi di minoranza presenti nella società. Sono due prospettive che si arricchiscono reciprocamente.

Nella visita al Consiglio ecumenico delle chiese a Ginevra, lo scorso giugno, papa Francesco ha ribadito che i cristiani debbano fare insieme tutto ciò che è possibile. Si può dire che l’ecumenismo dei nostri tempi dia i suoi migliori frutti nella ricerca di una concreta testimonianza comune piuttosto che nella ricerca di accordi dottrinali?

La testimonianza è centrale nella vita delle chiese e dei cristiani. Tuttavia, non esiste testimonianza cristiana che non sia radicata nella dottrina cristiana. E’ impossibile parlare della testimonianza che la chiesa rende a Cristo senza riflettere su come comprendiamo Cristo e su come la sua signoria dia forma alla nostra fede. Quando affermiamo che sono molti più gli elementi che uniscono piuttosto che quelli che dividono i cristiani, non diciamo una banalità. Intendiamo invece dire che quel che condividiamo della fede cristiana è talmente ampio da permetterci di proporre una testimonianza comune in ambiti come le migrazioni o la difesa del Creato. Per questo sono speranzoso sulla possibilità di giungere ad accordi dottrinali su ciò che ancora ci divide.

Lei è conosciuto nel mondo protestante italiano per la sua teoria del “cammino di iniziazione cristiana” a cui si è spesso fatto riferimento riguardo al dialogo tra chiese che praticano il battesimo degli infanti e quelle che praticano il battesimo dei credenti. Ritiene che questa sua proposta teologica possa aiutare il dialogo ecumenico?

L’idea di “cammino di iniziazione cristiana” consiste nel suggerire che l’inizio della vita in Cristo di una persona non sia costituito da un unico momento, ma costituisca un processo in più tappe che partono dalla grazia di Dio – che è all’origine di ogni cosa nella vita umana -, e includono l’atto del battesimo, la formazione cristiana, la prima partecipazione alla mensa del Signore, la decisione di diventare un consapevole e responsabile discepolo di Cristo. La mia proposta consiste nella possibilità che le diverse confessioni cristiane riconoscano reciprocamente questo cammino, senza pretendere che la sequenza di questi momenti sia nello stesso ordine. Nel battismo questo cammino può iniziare con la benedizione di un bambino che anni più tardi assocerà a quel gesto la sua personale confessione di fede nell’atto del battesimo; altre chiese possono accogliere i bambini con l’atto del battesimo a cui anni più tardi assoceranno la loro testimonianza di fede personale nell’atto della confermazione. Questa idea di un cammino dell’iniziazione cristiana è accettabile in diversi contesti ecclesiali: è stata al centro del dialogo tra battisti e Comunione anglicana; l’espressione “cammino di iniziazione” è presente nel catechismo della chiesa cattolica romana; sta dando dei frutti, seppur non ancora maturi, tra battisti europei e chiese metodiste, luterane e riformate che aderiscono alla concordia di Leuenberg.

Questa sua proposta è condivisa dalle chiese battiste del suo paese, la Gran Bretagna?

Naturalmente, uno dei problemi principali del dialogo teologico è che esso rimane spesso limitato agli ambiti accademici, tra “professionisti”. Tuttavia, devo dire che oggi in Gran Bretagna l’80% delle chiese battiste non chiede ai nuovi membri di chiesa, provenienti da confessioni che praticano il battesimo dei bambini, di ribattezzarsi. Ciò che si chiede è invece una dichiarazione di fede, indipendentemente dal fatto che provengano da chiese presbiteriane, metodiste o anche dalla chiesa cattolica. 

Foto di Anna Maffei: Paul Fiddes