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«Pronti a fare la nostra parte»

«Abbiamo affrontato i colloqui con l’equipaggio e le persone a bordo della Sea Watch con gratitudine, gioia, imbarazzo, anche tanta tristezza», così ha detto a Riforma.it la vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) Christiane Groeben, raggiunta telefonicamente a Malta al termine dell’incontro con le persone ancora a bordo della Sea Watch 3.  Due imbarcazioni sono partite da Malta nell’ambito dell’Alleanza United4Med a a sostegno della nave che ormai da molti giorni attende l’assegnazione di un porto sicuro per le 32 persone, donne, uomini e bambini, salvate nel Mediterraneo centrale il 22 dicembre scorso. Groeben è salita a bordo della Sea Watch 3 nella mattinata del 4 gennaio insieme a una delegazione di parlamentari europei tedeschi, di giornalisti internazionali e di attivisti della società civile.

«La Fcei – prosegue – ha recentemente siglato un accordo di partenariato con Sea Watch per dare concretezza alle sue attività umanitarie. Non eravamo sicuri di riuscire a incontrare le persone a bordo. Le loro condizioni di salute e psicologiche e l’affaticamento per l’estenuante navigazione non garantivano la possibilità di poter parlare con loro. La nostra visita quel giorno era condizionata anche dall’imminente cambio d’equipaggio: gli ospiti dovevano essere avvisati, sostenuti psicologicamente per l’allontanamento del personale amico e per il fatto che la discesa dalla nave era una condizione a loro negata».

– Malgrado le difficoltà l’incontro è poi avvenuto?

«Hanno deciso di farlo. In quel momento loro si trovavano a poppa e noi in coperta. La delegazione – oltre alla mia rappresentanza come Federazione delle chiese evangeliche in Italia – era composta da cinque membri del Parlamento tedesco di diversi schieramenti politici e da un membro del Parlamento europeo. C’erano anche giornalisti e troupe televisive. Non è stato facile rispondere alle loro domande non potendo dare risposte certe, sia sul futuro sia su quando sarebbe finito il loro peregrinare, sul perché nessun paese civile e democratico volesse accoglierli dando loro un porto sicuro».

– Tra le storie ascoltate ne ricorda una in particolare?

«Quella di un ragazzo sedicenne, partito dalla Guinea e sedicesimo figlio della quarta moglie del padre, che per via della povertà e dei pochi mezzi sostentamento a disposizione ha deciso di fuggire dal suo paese con la speranza di poter trovare condizioni di vita migliori e per poter aiutare la sua famiglia. Al di là dei singoli racconti le persone incontrate mostravano serenità e molta gratitudine verso l’equipaggio che ha fatto un ottimo lavoro di accompagnamento medico e psicologico soprattutto ai bambini spaesati dalla lunga permanenza in nave e per la presenza delle navi di sostegno, viste inizialmente come minacce per possibili rimpatri».

– Quali sono state le domande ricorrenti?

«Perché non ci viene dato un passaporto, un documento? Perché altre navi possono entrare nei porti e noi no? Perché l’equipaggio può scendere dalla nave e noi no? Perché non possiamo toccare terra ed essere liberi di muoverci? Non è stato facile spiegare che la loro permanenza sulla nave dipende da mere ragioni di scelte governative, legislative e burocratiche. Sulla nave ci sono tre bambini e diversi nuclei famigliari, tutte persone come noi… ma noi eravamo sulla nave in una condizione privilegiata, come persone libere. Non è stato facile scendere lasciandoli a bordo».

– Prima parlava di tristezza?

«Abbiamo affrontato questi incontri con la tristezza che deriva dal fatto di non sapere che fine abbia fatto l’idea di un’Europa unita che accoglie lo straniero».

– Oltre al sostegno dichiarato ai 49 profughi, da tempo la Fcei promuove azioni di accoglienza, e di concerto con la Diaconia valdese, con il progetto Mediterranean Hope, con l’attivazione anni fa del progetto pilota in Europa dei Corridoi umanitari e con altri progetti di accoglienza a Scicli e Lampedusa. Quali saranno i passi futuri?

«Come chiese protestanti italiane e tedesche proponiamo il modello dei “Corridoi europei”, per distinguerli dai Corridoi umanitari, e chiediamo a chi di competenza di valutare i passi politici necessari per poterli attivare. La volontà è quella di accompagnare le persone una volta giunte sulla terraferma con regolari voli di linea in Paesi disponibili all’accoglienza, come a esempio Heidelberg nel Baden della Germania. Fcei e Diaconia valdese sono pronti per assicurare l’accompagnamento. Credo che aiutare le persone bisognose e salvare vite umane sia il compito primario di ogni chiesa».

– Personalmente che cosa sente?

«Credo che quando ci si muove davvero con il cuore, con la fede, si trovano vie, metodi e soluzioni ai problemi. Sono certa che come chiese, unite, sapremo realizzare progetti sempre più grandi e ambiziosi. Sono ottimista, ho speranza nel futuro, malgrado il difficile clima che ci circonda».