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I vincitori del Tertio Millennio Film festival

Si è concluso sabato 15 dicembre il Tertio Millennio Film Festival, che si è svolto a Roma presso il cinema Trevi. Il festival, ideato come momento di confronto e dialogo interreligioso e interculturale, è organizzato dalla Fondazione ente dello spettacolo (FEdS) con i patrocini del Pontificio Consiglio della cultura e del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, con la direzione artistica di Marina Sanna e Gianluca Arnone.

La giuria interreligiosa era presieduta da Claudia Di Giovanni, responsabile della Filmoteca Vaticana, e composta da Zanolo Yahya Abd al-Ahad, delegato della Comunità religiosa islamica italiana (COREIS), Sira Fatucci, delegata per “Il Pitigliani” Centro ebraico italiano, Ben Mohamed Alì, delegato per l’Unione delle comunità islamiche d’Italia (UCOII), Pavel Zelinsky, delegato della Chiesa ortodossa russa, Filippo Riva, delegato del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede ed Elena Ribet, per l’Associazione protestante cinema “Roberto Sbaffi”.

Elena Ribet racconta: «È stata un’esperienza molto interessante; era la prima volta per me in una giuria cinematografica. C’erano nove film in competizione, tutti molto diversi tra loro che provenivano da diversi paesi. I temi erano abbastanza intensi anche per via del tema del festival che quest’anno era I giorni della rivolta. Guerra, rivoluzione e riscatto. Visioni abbastanza impegnative ma una bellissima esperienza soprattutto per il dialogo interreligioso e interculturale che è stato sollecitato durante il festival».

La rassegna si è aperta l’11 dicembre e lo scorso sabato si è conclusa con la cerimonia che ha premiato il film vincitore di quest’anno: Kairos di Paul Barakat, un regista australiano di origine libanese.

A proposito del film e delle motivazioni che hanno portato alla vittoria di questo film Elena Ribet dice che «Kairos è la parola greca per indicare un tempo, un momento sublime in cui accadono le cose più straordinarie, si prendono decisioni epocali. Il film parla di un ragazzo con sindrome di down, ex atleta di ginnastica artistica, che si confronta con un altro sport: lui vorrebbe praticare la boxe. Una serie di problemi portano il ragazzo a compiere un percorso che gli cambierà la vita. Questo film scardina completamente lo stereotipo della sindrome di down visto come limite fisico, psicologico, relazionale e sociale. Il regista ci teneva moltissimo a esplicitare che spesso nei film in cui si parla di disabilità gli attori non sono disabili e i personaggi con disabilità sono sempre relegati a un ruolo minore. In questo caso il protagonista è un ragazzo che ha collaborato, insieme ad altri con sindrome di down, al film anche in fase di montaggio e di sceneggiatura. Come ha detto il regista, questi ragazzi hanno le loro idee, le loro idiosincrasie, le loro visioni e quindi la collaborazione è stata sorprendente».

Una menzione speciale è andata a Mother Fortress, di Maria Luisa Forenza. «Questo documentario», continua Elena Ribet, «ha una fotografia straordinaria. È di una regista italiana, ed è stato girato in Siria tra il 2015 e il 2017. Racconta di un monastero, chiuso in una valle tra due montagne dove si nasconde l’Isis e i protagonisti sono i monaci che cercano di aiutare i sopravvissuti all’orrore, alla guerra. La storia è incredibile perché nonostante il dramma, ci sono dei varchi di luce determinati dalle persone e dalle interazioni tra esse. Questo è reso sia dalla narrazione che dalle immagini: ci sono le bombe e poi i silenzi, contrasti un po’ stranianti che però portano a una luce, a un percorso di trasformazione di ciò che è orribile verso un riscatto dell’amore, della pace, della fratellanza».