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Condannati i solidali di Briançon

Nonostante il freddo pungente erano almeno 200 le persone ieri pomeriggio all’esterno del tribunale di Gap, cittadina francese capoluogo del dipartimento delle Hautes Alpes, le Alte Alpi, ad attendere la sentenza relativa al processo ai cosiddetti “Sette di Briançon”, donne e uomini accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

I fatti: lo scorso 22 aprile si era svolta fra Claviere, ultimo comune italiano, e Montgenèvre, primo comune francese, una manifestazione indetta in maniera spontanea dalle varie associazioni che in questi anni stanno cercando di prestare aiuto alle tante persone migranti che da queste montagne fra Piemonte e Francia tentano di transitare per proseguire il loro viaggio di speranza. La manifestazione nasceva in risposta ad un presidio organizzato sempre sul confine, il giorno precedente, dal movimento di estrema destra Génération Identitarie. Alla marcia erano presenti anche alcune persone in quei giorni ospitate nei rifugi più o meno improvvisati su suolo italiano: migranti che dunque hanno varcato la frontiera. Da qui l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sebbene ovviamente, dato l’alto numero di forze dell’ordine presente, nessuno si fosse dato alla macchia. Per quest’ultimo motivo le accuse mosse dalla Procura apparivano molto stiracchiate.

Eppure ieri il Tribunale ha condannato tutti e sette i fermati, di nazionalità francese, italiana e svizzera: 6 mesi con sospensione condizionale della pena per cinque fra loro: Benoit Ducos, Eleonora Laterza, Lisa Malapert, Theo Buckmaster, Bastien Stauffer; 12 mesi, con 8 mesi sospesi e 4 da scontare con una modalità di definire per Matthieu Burellier e Juan Jalmain.

Ducos è il falegname di Briançon che la scorsa primavera soccorse una giovane donna africana incinta, portandola all’ospedale e che per quel gesto fu indagato per favoreggiamento, un’accusa fortunatamente presto archiviata. 

Sgomento, lacrime e indignazione fuori dal tribunale, prima di una marcia improvvisata che ha parzialmente bloccato il traffico cittadino e di una conferenza stampa finale durante la quale sono intervenuti per primi gli avvocati degli accusati che quasi a una sola voce hanno manifestato «La grande inquietudine di fronte a questa sentenza. E’ stata condannata la possibilità di manifestare: si trattava di una marcia pacifica in risposta alla manifestazione vergognosa dei neonazisti francesi ed europei; ci sono buchi giuridici evidenti nella sentenza. Soprattutto è stato dato oggi un triste, tristissimo ma altrettanto chiaro segnale: la frontiera è una zona di non diritto, dove le normali pratiche costituzionali sono sospese».

Commosso fino alle lacrime Michel Rousseau, fra gli animatori dell’associazione transfrontaliera Tous Migrants: «Abbiamo invitato il procuratore e la giudice a venire in montagna, a vedere cosa succede davvero. Ragazze, ragazzi che bussano alle nostre porte, infreddoliti, smarriti. Cosa dovremmo fare? Girarci dall’altra parte? Si stanno criminalizzando coloro che prestano aiuto perché gli Stati, l’Europa, non sono in grado di fornire una risposta seria al flusso di persone»

Intanto l’inverno è giunto oramai da tempo e il copione si sta ripetendo uguale, come da almeno tre anni a questa parte: tentativi ogni giorno di valicare il confine, respingimenti coatti da parte delle polizie transalpine, anche di minori, in barba ad ogni regolamento internazionale.

Fra i presenti a Gap anche Davide Rostan, pastore della Chiesa valdese di Susa e coinvolto in prima persona nell’accoglienza dei tanti che in alta valle di Susa arrivano senza sapere che ad attenderli troveranno il gelo, la neve: «Bruttissima pagina, si sta esplicitando quella che è la condizione europea oggi, e cioè che noi avremmo tutti i mezzi per poter accogliere le persone, ma non lo vogliamo fare.  Dobbiamo cercare una giustizia economica globale diversa, senza la quale non è pensabile pensare di invertire questo fenomeno delle migrazioni. Nel mondo centinaia di milioni di persone si spostano e continuare a offrire solo risposte di chiusura e repressione è un segnale tragico. La Francia ha scelto il lato della morte e non quello della solidarietà – ha proseguito Rostan -. La Procura francese ha portato avanti delle accuse contro persone che operano la solidarietà. Gli attivisti continueranno a soccorrere le persone che attraversano il confine, come accade anche in mare, perché nessuno debba restare solo e al freddo. La nostra tradizione protestante, legata alla Bibbia, ci parla di Abramo che parte e va in Egitto per fuggire a una carestia, e i riferimenti potrebbero esser molti altri. Fa rabbia infine sapere che nessun procedimento è stato avviato nei confronti di Generazione Identitaria, i cui attivisti hanno in pratica pattugliato per una settimana il confine, fermando persone con una vera e propria caccia all’uomo, prestando aiuto alle forze dell’ordine: attività che non possono certo stare in capo ad una associazione di privati cittadini. Eppure nessun capo d’accusa è stato loro imputato».

Laura Martinelli, avvocata che in questi anni senza sosta si è spesa senza sosta per prestare tutela legale alle migliaia di persone che si trovano a transitare in queste terre in situazione di irregolarità: «La decisione del tribunale è decisamente forte, anche perché era saltata subito l’imputazione di banda organizzata, e ciononostante sono state portate avanti accuse abbastanza vuote: non c’erano elementi di fatto per dire che fosse stata favorito effettivamente lo sconfinamento. E’ una decisione dunque politica che testimonia come attualmente il passaggio alle frontiere viene gestito dalle autorità in maniera solamente repressiva, sia nei confronti dei migranti che nei confronti dei solidali che in qualche maniera cercano di supportarli in questo loro percorso».

E dire che la giornata si era aperta con una notizia di segno opposto: la Corte costituzionale francese, il massimo organo giuridico del paese aveva chiesto l’annullamento di parte della sentenza di secondo grado a carico di Cédric Herrou, l’agricoltore della valle Roya divenuto celebre per aver prestato soccorso a centinaia e centinaia di persone al confine con Ventimiglia e aver contribuito in maniera decisiva a portare alla ribalta le contraddizioni legate alla gestione dei flussi migratori in questa fetta d’Europa. La Corte ha riconosciuto che con le nuove norme entrate in vigore quest’anno veniva a delinearsi un quadro all’interno del quale il principio di fraternità conquistava un ruolo di primo piano. In sostanza non è reato aiutare il prossimo a scopi umanitari e senza tornaconto su suolo francese, mentre rimane totalmente illegale il passaggio di frontiera, come dimostra la sentenza di Gap e la stessa vicenda di Herrou che su questo punto specifico ha visto invece confermate le accuse già mosse nei precedenti gradi di giudizio. Il caso Herrou torna dunque in tribunale di secondo grado.

Foto di Claudio Geymonat: Benoit Ducos legge una dichiarazione dopo la pronuncia della sentenza