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Il problema parzialmente irrisolto

Un attore comico, di origine ebraica, rilegge alcuni famosi episodi biblici a modo suo. No, non stiamo parlando di Woody Allen, ma di Gioele Dix, e del suo libro La Bibbia ha (quasi) sempre ragione*. Si ride leggendolo, ma l’intento del libro non è – ci dice l’autore stesso – «prendere in giro la Bibbia; bensì dar voce e corpo ai dubbi, ai pensieri e alle suggestioni che da essa zampillano come getti da una fontana». Mentre ridiamo, ci facciamo accompagnare dall’autore dentro la materia viva e pulsante del testo; con lui la smontiamo, la reinterpretiamo, la rimastichiamo. La creazione del mondo e dell’essere umano, il diluvio universale, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giona e Gioele, frammenti sparsi di altre storie della Bibbia ebraica: tutto questo, in meno di duecento pagine, ci passa davanti e ci suscita, oltre al sorriso, curiosità e inquietudine.

Con grande semplicità l’autore ci conduce per mano a concludere che la Bibbia – «il libro che più di tutti ci orienta, ci influenza e ci appassiona»è soprattutto il libro che ci parla di Dio. Dix rivendica esplicitamente la sua adesione a quella tradizione rabbinica che «si nutre di dubbi continui e di interminabili dibattiti» sul Libro. Ci piace credere in Dio – dice – ma non in maniera incondizionata: vogliamo capire cosa fa e perché lo fa, proprio perché a Lui ci teniamo. E la Bibbia ci piace proprio perché ha «quasi sempre», e non «sempre», ragione. Qui si allarma il piccolo fondamentalista che sonnecchia in ciascuno di noi e ha bisogno di un punto di riferimento sicuro, «inerrante». Ma la Bibbia è errante come è errante la nostra vita di fede: non è un papa di carta, un tutorial per ogni occasione, un Google Assistant sempre a disposizione per fornirci la risposta giusta. Né è un libro tra i tanti, da integrare o conciliare con altri: è il libro con cui discutere, arrabbiarsi, litigare, soprattutto il libro che ci aiuta a cercare Dio.

Per Gioele Dix la ricerca di Dio è un «problema parzialmente irrisolto», un cantiere aperto. «Non ho dubbi sull’esistenza di Dio – afferma – ma cerco Sue tracce più chiare nella mia, di esistenza». E sicuramente molti di noi, e molte delle persone che incontriamo nella nostra vita, potrebbero dire lo stesso. Abbiamo il dubbio, il sospetto, il timore, che quel Dio così presente ai tempi di Abramo o Giona oggi sia assente, riservato, forse stanco. Non siamo la prima generazione a porsi l’interrogativo. «La parola del Signore era rara a quei tempi, e le visioni non erano frequenti» (I Samuele 3, 1). Ma, d’altro canto, come recita il testo che ha accompagnato la recente Assise della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, è il Signore stesso ad avere dei dubbi: «… quando il Figlio dell’Uomo verrà, troverà la fede sulla terra?» (Luca 18, 8). Il «metodo» che Gioele Dix propone per uscire da questa impasse, da questo surreale cercarsi alla cieca: è «inutile attendersi che Dio si occupi personalmente di ognuno, perciò è giusto metterci noi in contatto per primi». Soluzione che può apparire volontaristica, che può suonare stonata a quella semplicistica ortodossia protestante che vuole lasciare a Dio tutto l’onere di prendere l’iniziativa. Ma che è pur sempre molto biblica: «Cercatemi e vivrete!» (Amos 5, 4).

Il libro di Gioele Dix è un ottimo ausilio per farci tornare la voglia di aprire la Bibbia, di ruminarla, di trovarci le tracce del Signore. Un’ultima nota: quindici anni fa il libro era uscito per un grande editore generalista, Mondadori, e si era confuso tra le infinite strenne natalizie di discutibile valore, tra i troppi best-seller di scarso respiro. Ora torna in libreria con due capitoli in più e una nuova prefazione, per la Claudiana, andando ad arricchire un catalogo che ci propone tanti e diversi modi di discutere di e con Dio, dai classici della Riforma alla «teologia pop». Vi consiglio di regalarlo e regalarvelo: sono diciannove euro spesi bene.

* Gioele Dix, LA Bibbia ha (quasi) sempre ragione. Torino, Claudiana, 2018, pp. 200, euro 19,00.