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Pietre d’inciampo, indignazione e rabbia

Memoria ferita a Roma, dove la rimozione di 20 pietre d’inciampo in ricordo dei membri delle famiglie Di Consiglio e Di Castro trucidati dalla Shoah ha suscitato l’indignazione di istituzioni, mondo ebraico, tanti comuni cittadini. Come riporta il sito Moked, portale dell’ebraismo italiano, in centinaia ieri sera hanno partecipato a un presidio convocato dall’associazione Arte in Memoria con il sostegno di Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane) e Comunità ebraica romana.
«La più grande delle preoccupazioni per quanto mi riguarda è che, per quanto possa essere grave aver divelto una pietra d’inciampo e aver offeso nuovamente la memoria dei martiri delle Fosse Ardeatine, domani si possa passare a gesti più eclatanti, e offendere le persone» dichiara la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello in un’intervista con il quotidiano Il Messagero.

Purtroppo anche il Piemonte pochi mese fa è stato protagonista di un episodio simile con un furto di una Pietra d’inciampo nella città di Collegno, alle porte di Torino.

Fra le tanti voci di condanna si segnalano quelle di alcune fra le principali cariche dello Stato, dalla presidente del Senato Casellati a quello della Camera Fico al presidente della Regione Lazio Zingaretti.
Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), riunito a Roma il 10 dicembre 2018, ha espresso a sua volta indignazione e sgomento per il furto, nel pieno centro della capitale, in via Madonna dei Monti, delle 20 pietre d’inciampo.

«Si chiamano pietre d’inciampo perché ci devi inciampare non con i piedi, ma con il cervello e con il cuore. I nomi in cui inciampi sono quelli di vittime della dissoluzione del diritto, del trionfo dell’arbitrio e dell’odio, della demonizzazione del diverso. Non si tratta soltanto di rispetto per le vittime. Se non capiamo perché lì dovremmo inciampare, vuol dire che non sappiamo più da dove vengono, a quale prezzo sono state ottenute e quanto valgono la libertà che abbiamo e la democrazia in cui viviamo. Identificare le mani criminali è compito della polizia. A noi tocca però di vedere, denunciare e contrastare il degrado del discorso politico e culturale che di queste mani alimenta la tracotanza. A ottant’anni dalle leggi razziste fasciste (1938), non possiamo non sapere che conseguenze possono avere il silenzio e l’indifferenza di fronte alle parole e ai gesti dell’odio» è il testo del comunicato della Fcei.