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«Non è la mia sentenza, eppure è la mia pena»

Sono circa 9000 i bambini, in Svizzera, che hanno uno o entrambi i genitori in carcere, secondo l’Ufficio federale di Giustizia. «Non è la mia sentenza, eppure è la mia pena» è lo slogan con cui l’organizzazione per i diritti umani Acat Suisse (Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura) ha lanciato la propria campagna per difendere i diritti di questi minori, «vittime collaterali» di un’infrazione alla legge di cui non sono colpevoli.

La raccolta firme, lanciata su Internet in occasione della giornata dei diritti umani, il 10 dicembre, che si protrarrà fino al 31 gennaio (qui si può leggere e scaricare la petizione) è indirizzata alla Conferenza dei direttori e delle direttrici dei dipartimenti cantonali di giustizia e polizia (Ccdjp).

L’iniziativa è stata accompagnata e preceduta dalla diffusione di un dossier in cui si sottolinea che la situazione dei figli di detenuti in Svizzera poco conosciuta dalla gente comune, è anche trascurata dagli organismi legislativi e giudiziari.

Il rapporto, denunciando le violazioni dei diritti sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (articolo 9), evidenzia i traumi derivanti dalla detenzione di un genitore, spesso celata dietro una bugia («è andato all’estero», «è morto»…) che invece di proteggere i bambini scatena in loro sensi di colpa e problemi psico-fisici le cui conseguenze possono essere pesanti anche nel lungo periodo. Il dossier ricorda ad esempio il maggiore rischio di sviluppare comportamenti aggressivi, ansia o depressione, e cita il progetto Angehört dell’Esercito della Salvezza, l’unico di questo tipo nella Svizzera tedesca. Nella Svizzera francofona la situazione è un po’ migliore, grazie alla presenza dal 1995 della Fondazione Repr (Relais Enfants Parents Romands) e dei suoi operatori (dieci assunti e una sessantina di volontari), considerata un interlocutore importante dalle diverse figure del sistema giudiziario (magistrati, agenti e direttori di carcere). Anzi, da parte loro c’è un crescente interesse e la richiesta di maggiori informazioni per poter gestire meglio la situazione, partendo dal fatto che (ad esempio) le strutture detentive non sono adatte ad accogliere i bambini, nemmeno in visita (pareti grezze, luci al neon, obbligo di parlare sottovoce…). Lo stesso interesse c’è anche nella Svizzera germanofona, emerge dai risultati di uno studio dell’Università di Zurigo diffuso in gennaio, che parlano di consapevolezza dell’importanza di tutelare le relazioni familiari. Tuttavia, in un contesto generale ossessionato dal tema sicurezza e che non vede di buon occhio un atteggiamento “sensibile” verso i “delinquenti”, manca una linea comune a livello intercantonale che potrebbe aiutare a cambiare le cose: «il rispetto dei diritti non può essere lasciato alla buona volontà dei singoli», è la conclusione del dossier.

Una chiara indicazione peraltro è arrivata lo scorso aprile dal Consiglio d’Europa, che ha rivolto una raccomandazione in 56 punti ai suoi 47 Stati membri (tra cui la Svizzera), basata sul principio che gli interessi e i diritti dei bambini sono di ordine primario rispetto a qualunque altra questione. I vari organi elvetici competenti, però, dal Consiglio federale alla Conferenza dei direttori e delle direttrici dei dipartimenti cantonali di giustizia e polizia, sembrano bloccati nella discussione sull’«area di competenza» di ciascuno.

Per questo l’appello dell’Acat, lamentando la mancanza di «una direttiva chiara che permetta di fare rispettare i diritti di questi bambini, e una pratica omogenea fra i vari cantoni», sollecita la Ccdjp a realizzare uno studio sulla base di dati puntuali sulla situazione di questi minori ma anche sulle iniziative della società civile già esistenti (Esercito della Salvezza, Acat, Repr…); a fare in modo che la legislazione, la politica e la pratica seguano i principi fondamentali iscritti nella Raccomandazione del Consiglio d’Europa; a garantire la diffusione e la conoscenza di quest’ultima in ogni ambito; a fornire le necessarie risorse alla messa in pratica delle misure che possano garantire il rispetto dei diritti dei bambini e della cura delle relazioni familiari.