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Irregolari per legge: quale sicurezza con il decreto Salvini?

Lunedì 3 dicembre il ddl 840/2018, il cosiddetto decreto Sicurezza e Immigrazione, è stato promulgato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, diventando così legge a tutti gli effetti. La firma è arrivata nell’ultimo giorno utile per la conversione del decreto, che ha vissuto alcuni momenti difficili nei passaggi al Senato e alla Camera. Tuttavia, mentre nelle aule si discuteva la sua conversione, il decreto, che era stato licenziato dal Governo lo scorso 4 ottobre, cominciava a produrre i suoi effetti.

Con l’articolo 1 della legge si aboliscono i permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, una delle tre tipologie di protezione che potevano essere riconosciute ai richiedenti asilo, insieme allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria. Con un visto per motivi umanitari, il beneficiario poteva accedere alla formazione professionale, ad attività lavorative e alla permanenza in strutture statali dedicate alla prima accoglienza, come i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e ai Centri di accoglienza straordinari (Cas). Con la cancellazione di questa protezione, o meglio, con la sua conversione in un visto «per cure mediche» o per motivi speciali, viene meno un istituto giuridico che aveva permesso di fornire alcuni fondamentali strumenti di accoglienza e inclusione sociale a persone che altrimenti sarebbero rimaste per strada e che ora sembrano destinate proprio lì.

Il giurista Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, spiega che «l’abolizione di questo istituto giuridico ha come principale conseguenza che coloro che tutt’ora che ne sono in possesso e non erano già ospitati nelle strutture Sprar non possono più andarvi. Queste situazioni non hanno più nessuna accoglienza, quindi finiscono direttamente in strada dal centro di prima accoglienza»

Le prefetture di tutta italiana hanno iniziato a comunicare ai gestori dei centri di accoglienza che i titolari di protezione umanitaria dovranno abbandonare le strutture. Per queste persone, infatti, non è prevista nessuna forma di supporto per il periodo di integrazione, cosa che fino a oggi poteva accadere regolarmente con l’inserimento negli Sprar. Inoltre, con la cancellazione della protezione umanitaria decine di migliaia di persone diventeranno residenti irregolari sul territorio, al di fuori quindi da ogni percorso di inclusione e integrazione.

Con questa legge viene inoltre smantellato il lavoro svolto negli ultimi anni per la costruzione di un sistema di accoglienza diffusa, gestito dal sistema municipale degli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), ritornando quindi al modello di strutture con numeri più grandi e senza alcun dovere di integrazione né a carico delle persone migranti, che possono pretendere di ricevere solo vitto ed alloggio, né a carico degli enti gestori. «L’effetto pratico – prosegue ancora Schiavone – non è solo la cancellazione del visto, ma è l’impedimento a queste persone di entrare in percorsi di integrazione sociale, che si trascinerà per non meno di un anno e produrrà un numero che è difficile stimare ma che ragionevolmente è stato calcolato intorno alle 30.000 persone che finiranno in strada e impatteranno in maniera drammatica sui servizi sociali, nei luoghi in cui ci sono, oppure più semplicemente finiranno nelle occupazioni abusive, finiranno nello sfruttamento lavorativo. Temo che ci saranno anche persone che moriranno nella civile Italia del 2018».

Nelle intenzioni del Ministero dell’Interno, il prossimo passo per queste persone in realtà non è la strada, ma l’espulsione dall’Italia. Il problema, però, è che i rimpatri infatti prevedono costi e procedure che oggi non sembrano sostenibili. Secondo Eurostat, l’agenzia europea di statistica, nel 2017 l’Italia ha effettuato 7.000 rimpatri a fronte di circa 32.000 soggetti irregolari rintracciati. In campagna elettorale il ministro dell’Interno aveva invece promesso 500.000 espulsioni. Il punto è che le pratiche di rimpatrio richiedono un accordo bilaterale con il paese di origine della persona migrante, accordi che l’Italia ha stipulato soltanto con Tunisia, Marocco, Egitto e Nigeria. Senza un’intesa, le nazioni di origine possono respingere a loro volta la persona rimpatriata. «Qui – racconta Gianfranco Schiavone – si tocca con mano la differenza tra la realtà e ciò che viene fatto percepire alla popolazione». Le stime sono incerte, ma è realistico pensare che questo decreto possa produrre nei primi mesi di applicazione almeno 60.000 nuovi residenti irregolari, proprio quei “clandestini” che da dieci anni la politica italiana promette di ridurre.

Ma i problemi per questa legge non si fermano qui: al di là degli effetti dell’accoglienza o della mancata accoglienza, il giurista Gianfranco Schiavone sostiene che il testo «presenta moltissimi profili di incostituzionalità, a partire proprio dall’abrogazione della protezione umanitaria, per mancato rispetto del contenuto stesso del diritto d’asilo sancito dall’articolo 10 della Costituzione, e poi presenta tantissimi altri profili relativi alla violazione delle direttive europee». Va tenuto conto però che quando si ragiona di ricorsi e di eccezioni di costituzionalità, l’orizzonte temporale si allontana di anni. «Troppe volte – prosegue Schiavone – assistiamo al fatto che norme inique producono effetti per molti anni prima di essere poi cancellate o modificate, ma nel frattempo molte persone hanno subito danni irreparabili».

Questo decreto, insomma, crea un vuoto di servizi e di strumenti che le istituzioni non forniranno più. L’alternativa alla riduzione delle tutele può provenire soltanto dalla società civile, ma si tratta sempre e comunque di un inseguimento nel breve termine. Per contro, gli effetti di queste norme avranno vita molto più lunga.