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La realtà attraverso l’inganno

Se ci pensiamo chi ha provato, nel corso della storia a togliere la maschera alla realtà, proibendo il teatro, castrando le arti, non ha mai avuto ottenuto durature vittorie. La “maschera” dell’arte sembra essere un accessorio indispensabile alla lettura di quanto ci accade. Un “inganno”,, un artificio, che restituisce il vero alla realtà, cosicché le difese di fronte al panico del vero si abbassino e quello che gli occhi vedono, le orecchie odono, il corpo sente e la mente intende possa essere intellegibile e comprensibile.

All”inganno si ricorre abitualmente nell’ambito delle arti, abbiamo detto. Basti pensare all’architettura che conosce perfettamente cosa significhi ingannare la vista, ma anche la pittura o il teatro, che per creare e comunicare qualcosa fanno ricorso a un artificio.

Il teatro, la letteratura ci portano pezzi di realtà che sembrano più facili da identificare fuori dalla vita reale, e oggi, attraverso sempre nuovi mezzi, la tv e gli smartphone, la vita e i sentimenti sembrano più veri attraverso lo schermo.

Punto di incontro tra chi è stato invitato a riflettere sulla parola inganno per portare la propria proposta sul palco e il pubblico che parteciperà a queste riflessioni è la frase che il filosofo greco Gorgia, vissuto tra il IV e V secolo a.C., ha lasciato in riferimento all’arte tragica: “Chi inganna è più giusto di chi non inganna e chi è ingannato è più saggio di chi non è stato ingannato”.

Il festival teatrale Osservatorio Mantica propone una serie di eventi che riflettono intorno a questi concetti: fino al 21 dicembre, presso il teatro Comandini di Cesena, si alterneranno incontri diversi sotto la direzione artistica di Chiara Guidi, ideatrice del progetto, e Stefano Ricci.

Del percorso e del programma parla Chiara Guidi.

Quel’è l’ambito in cui si inserisce l’Osservatorio Màntica?

«La compagnia Societas ha come spazio di lavoro il teatro Comandini di Cesena; qui noi poniamo il cuore dei nostri esperimenti, perché siamo un teatro di ricerca. In questo teatro da 11 anni organizzo l’osservatorio Màntica, parola che riporta sia alla màntica, l’arte divinatoria antica, sia al mantice, a un soffio. Ho in effetti due poli di ricerca: la voce, colei che vive sotto le parole, e l’infanzia intesa non come l’età ma come idea che vive prima del linguaggio. In questo spazio / osservatorio chiedo al pubblico di avvicinarsi, spinti da questo respiro, alle questioni della tecnica, della ricerca, in particolare delle arti rappresentative ma anche manifestative, come la musica. Questo osservatorio diventa un luogo vivo, un laboratorio intorno al quale nascono spettacoli di teatro, di danza, musica e cinema».

Come avete scelto il tema dell’inganno?

«Ogni anno Màntica crea un osservatorio intorno a una questione che riguarda il punto in cui mi trovo nella ricerca rispetto alla voce e all’infanzia. Quest’anno la parola è inganno e la scelta nasce  da un incontro con una frase di Gorgia in cui afferma, anche in relazione al teatro, che colui che è ingannato è più sapiente di colui che inganna. Questa frase ci rimanda a una problematica legata alla società dello spettacolo, dove chi è ingannato acquista una sapienza da ciò che vede. Ma questa frase parla anche di come è impostata la relazione tra l’oggetto e colui che guarda e pone la questione su chi è, colui che guarda, per il soggetto he mette in moto una visione. Questo per il teatro è fondamentale perché tra le arti rappresentative è quella che ha davvero necessità di un pubblico per poter completare un’azione scenica. Il teatro è il luogo dello sguardo e porta proprio nel nome l’idea di pubblico, per cui ci interroghiamo su chi è per noi il pubblico, come lo inganniamo e che significato ha questa parola. Soprattutto è vero che ogni azione d’arte mette in campo un artificio, ma con un’azione tecnica o artistica restituisco alla realtà, la realtà».

In che modo questa riflessione esce dall’ambito teatrale?

«La realtà ci pone in uno scambio continuo di culture, di popoli e di gente diversa, e questo mi interroga sulla nostra capacità di portare la nostra cultura anche all’attenzione di un’altra. Qui troviamo una tensione radicata. Per il teatro è molto interessante intendere questa parola, inganno,  legata al presente. Non posso affrontare questa parola pensando solamente a Gorgia e crearmi una situazione circoscritta di pensiero filosofico sullo statuto delle arti. Per cui all’interno del programma ho invitato Olivia Guaraldo a parlare della menzogna in politica in relazione alla figura di Hannah Arendt, ho voluto includere la voce di Alessandro Leogrande, vista la sua recente scomparsa, per parlare del piano Condor e di quando i bambini dei desaparecidos dell’America latina venivano strappati alle madri e dati in adozione. A fianco di questo tema arriva Edipo che si chiede chi siano i suoi genitori, ma soprattutto quale sia la sua origine: in questa domanda c’è una sete di verità che spesso per poterla affrontare bisogna costruire una menzogna. C’è uno strano collegamento tra verità e inganno; questo mondo circolare dove non c’è un polo, positivo o negativo, ma un atto di consapevolezza. Lo sforzo oggi è avere desiderio di conoscenza e di cultura, essere aperti a 360 gradi».

Il punto quindi è trovare un equilibrio tra la consapevolezza di chi inganna e chi è ingannato?

«Nella frase di Gorgia c’è una chiave nascosta: è sapiente colui che è ingannato perché riconosce qualcosa, ritrova qualcosa di sè. Quello con cui veniamo in contatto ci riguarda, ci interroga. Questa consapevolezza riguarda tutti e quindi diventa sociale. È un discorso che riguarda prettamente l’ambito artistico, le immagini in particolare, ma è vero che ne sfogliamo tante ultimamente, e di queste quante rimangono nella nostra memoria e diventano qualcosa che mette in moto la nostra immaginazione? Cosa vedo al di la di ciò che viene mostrato?

Questa è la questione dell’arte: cosa offrire al pubblico perché possa mettere in atto la sua intelligenza. Il teatro classico è nato proprio come sublimazione si certi aspetti sociali che venivano trasferiti in ambito poetico. Abbiamo sete di poesia come sguardo e l’azione è un accadimento poetico».