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Alla Sapienza lo sguardo metodista «tra Europa, Africa, Usa e Italia»

É giunto alla settima edizione il Convegno di studi internazionali sul metodismo promosso dal Centro di documentazione metodista (Cdm) in collaborazione con la Sapienza – Università di Roma. Un convegno dal titolo «Metodismo, giustizia sociale, diritti. Uno sguardo tra Europa, Africa, Usa», che si terrà a Roma giovedì 29 novembre presso la Sala Odeion della Facoltà di Lettere e filosofia alle 10.

«Dialogare e poter riflettere con intellettuali, studentesse, studenti e persone interessate, è oggi più che mai importante. Il “fatto religioso” s‘interseca inevitabilmente con ambiti sociali, politici, culturali e storici. Il Convegno di giovedì, grazie all’apporto scientifico di professori ed esperti – dice a Riforma.it Mirella Manocchio, presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (Opcemi) –ripercorrerà la storia del metodismo e le scelte che sin dall’inizio l’hanno spinto verso la ricerca della giustizia sociale e la difesa dei diritti umani. Analisi, che saranno affrontate in modo interdisciplinare senza dimenticare le radici geografiche che hanno contraddistinto la nostra storia».

Europa, Africa e Usa, è così?

«Il metodismo – prosegue Manocchio – nasce in Inghilterra e poi raggiunge gli Usa e l’Africa,  e solo dopo arriva in Italia. Il movimento metodista grazie al suo fondatore John Wesley seppe influenzare queste aree, soprattutto in materia di diritti civili. Basta pensare all’apporto fornito alle diverse popolazioni locali dalle scuole metodiste, in Africa ad esempio, dove si formarono molti giovani diventati leader, intellettuali; per citarne uno su tutti: Nelson Mandela. Scuole nelle quali, ricordava Mandela, “era possibile relazionarsi con i professori bianchi in modo paritario”».

Il convegno cade, tra l’altro, in occasione di alcuni anniversari importanti.

«Ci sono alcune fortunate coincidenze: la Dichiarazione dei diritti umani; l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana; l’anniversario della scomparsa di Martin Luther King e il 1968. Tappe importanti, che hanno segnato la storia dell’umanità e aperto la strada a democrazie plurali, a principi e valori solidali».

Nell’Italia di oggi quale ruolo gioca il metodismo?

«Da sempre ci impegniamo “nello spazio pubblico”, anche con azioni concrete. Molte di queste le portiamo avanti insieme alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, e ad altre chiese sorelle. Messaggi e azioni che riteniamo importanti, dirimenti, ad esempio l’impegno contro la violenza sulle donne; o la battaglia per giungere al più presto a una legge quadro per la libertà religiosa e superare le vetuste legge sui “culti ammessi” del 1929; affermando la nostra netta posizione a favore dello Jus Soli. Insomma “battaglie” per difendere i diritti umani, per i diritti di tutte e tutti e per chiedere pari dignità e giustizia sia nel mondo sia in Italia».

Una chiamata al senso di responsabilità dunque?

«Giovedì non sarà solo l’occasione per proporre la rievocazione storica, teologica e culturale del metodismo, tantomeno sarà l’occasione per fare l’elogio del nostro operato, sarà seppur in forma accademica nella forma e nella sostanza, un’occasione per stimolare una riflessione comune su questioni che riteniamo inderogabili. Wesley – ricorda ancora Manocchio – fu il primo leader religioso a prendere una posizione chiara contro lo schiavismo. Il nostro convegno cercherà di stimolare riflessioni da portare all’interno delle nostre chiese e fuori da esse. Cercherà di far emergere le contraddizioni presenti nella società italiana ed europea; lo faremo partendo dalla nostra Costituzione Repubblicana, la più bella del mondo, purtroppo non ancora pienamente attuata, talvolta osteggiata».

Dopo i saluti di apertura del presidente del Cdm, il pastore Massimo Aquilante, conclude Manocchio, «saranno  affrontati diversi temi: Il protestantesimo e l’età dei diritti con Elena Bein Ricco; John Wesley e le buone opere con Giancarlo Rinaldi; Wesley, il metodismo e l’impegno contro lo schiavismo negli Stati Uniti con Daniel Pratt Morris-Chapman; Il metodismo e la decolonizzazione dell’Africa con Emmanuel Assante; Un metodista nel Civil Rights Movement con Paolo Naso; Metodismo e movimento per il suffragio femminile con Francesca Cadeddu; Il metodismo americano e i diritti dei nativi negli anni del Removal Act, 1820-1840 con Sergio Aquilante; Chiese metodiste e movimenti sociali nel Sessantotto italiano con Silvana Nitti e la conclusione dei lavori a cura di Gaetano Lettieri».

 

I metodisti nascono nel XVIII secolo in Inghilterra con un vasto movimento di risveglio religioso ad opera di John Wesley (1703-1791), la cui caratteristica era quella di predicare all’aperto, nelle città come nelle campagne. «Il mondo è la mia parrocchia» fu da subito il suo motto, che lo portò a fare delle piazze, delle case, di ogni spazio di vita quotidiana i luoghi di una rinnovata fede cristiana. In Italia i metodisti si inseriscono nel risveglio culturale e religioso del Risorgimento, con l’arrivo nel 1859 di William Arthur, segretario della Wesleyan Methodist Missionary Society di Londra. I metodisti si riconoscono nella confessione di fede del 1655 e hanno lo stesso ordinamento sinodale-rappresentativo dei valdesi. L’Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia nasce dalla trasformazione della Chiesa Evangelica Metodista d’Italia con la piena attuazione del Patto d’Integrazione (1975) con la Chiesa evangelica valdese, che diede vita all’Unione delle chiese metodiste e valdesi in Italia. L’Opera è amministrata da una commissione sinodale (Comitato permanente) composta da un presidente (legale rappresentante) e da tre membri eletti annualmente dal Sinodo delle chiese metodiste e valdesi e da un delegato della Tavola Valdese.

Nell’ordinamento “civile” l’Opcemi è un ente ecclesiastico dotato di personalità giuridica (D.P.R. 20 marzo 1961 e successive modificazioni).