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Svizzera. Non passa il referendum sull’autodeterminazione

Non è passato il referendum che, nel nome dell’autodeterminazione, chiedeva agli svizzeri di sancire il primato del diritto nazionale su quello internazionale, nella fattispecie europeo, ribaltando la regola riconosciuta quasi universalmente nell’area europea, tranne che dalla Russia.

Parole di apprezzamento per questa decisione sono arrivate da più parti, in primis dal segretario generale di Amnesty International, Kumi Naidoo, che ha dichiarato: «Gli svizzeri e le svizzere hanno dimostrato di non lasciarsi ingannare da false promesse, e la loro volontà di vivere in una società in cui i diritti umani sono validi per tutti e tutte. La maggioranza degli svizzeri si è espressa contro l’esclusione dei più deboli e vulnerabili». Lo si legge sul sito dell’organizzazione, la cui sezione svizzera negli scorsi mesi si è fortemente impegnata per sensibilizzare la popolazione in vista del referendum, così come hanno fatto le chiese protestanti (ne avevamo parlato qui).

Tra i principali trattati internazionali a essere messi in dubbio dalla vittoria del sì, infatti, ci sarebbe stata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed è forse stato proprio questo argomento a convincere a rifiutare la proposta, sostenuta dall’Unione democratica di centro (Udc). Il principale partito svizzero, tradizionalmente schierato per una Svizzera il più possibile indipendente dall’Unione europea, era essenzialmente il solo ad appoggiare il referendum, contrari gli altri partiti, ma anche il Governo e la maggioranza del Parlamento. Anche questo forse ha pesato sul netto rifiuto prevalso in tutti i cantoni.

Non hanno vinto, quindi, la spinta all’autodeterminazione e una visione negativa degli accordi internazionali come vincoli all’autonomia elvetica, e il timore di «perdere la propria specificità» paventato dai proponenti.

Più forte il timore di un crescente isolamento e della messa in discussione di trattati internazionali, con conseguenze pesanti per il Paese. A rischio sarebbero state infatti alcune migliaia di trattati, in ambito politico, ma soprattutto economico, e anche ambientale, culturale, nell’ambito dei diritti umani.

Invece di tutelare gli interessi elvetici, insomma, questa decisione avrebbe rischiato di sortire l’effetto opposto, rendendo molto più instabile la situazione internazionale e complicando un panorama europeo che, dopo Brexit, non ha certamente bisogno di altre complicazioni.