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Il dovere di riflettere

In occasione della Prima Assise della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Commissione studi della Fcei ha redatto un documento, poi approvato all’unanimità, sulla presenza degli evangelici nello spazio pubblico. Ne abbiamo parlato con il professore Daniele Garrone, che della Commissione è il coordinatore.

– Perché la «Commissione studi» ha sentito l’urgenza di elaborare e sottoporre all’Assise un documento dal titolo «Evangelici nello spazio pubblico»?

«Sentivamo il dovere di riflettere, di ragionare, di dire una parola forte e univoca rispetto alle preoccupazioni che ci attanagliano. Prima ancora, abbiamo sentito la necessità di esprimere la nostra gratitudine a Dio per il cammino che la Federazione ha compiuto in questi cinquant’anni, e in particolare per il lavoro portato avanti in questi ultimi tre, da quando è cambiato lo Statuto della Fcei con l’ottenimento del riconoscimento giuridico».

– Un documento complesso che affronta molti temi: l’accoglienza, la missione delle chiese oggi, le preoccupazioni per le nuove derive nazionaliste e xenofobe, i rapporti con lo Stato, la libertà religiosa, il contrasto alla violenza sulle donne, le prospettive di genere, la salvaguardia del Creato. Indicazioni o appelli alla ragionevolezza?

«Oggi a preoccuparci sono i toni con cui si affrontano le discussioni e gli scontri politici, modalità che spesso sono proposte attraverso le contrapposizioni prive di dialettica e atte a individuare “un nemico”, utilizzando spesso slogan fortemente nazionalistici. Riteniamo, dunque, urgente promuovere discussioni fondate sui fatti, basate su argomenti reali e nel rispetto delle posizioni differenti. Siamo altresì preoccupati perché il crescente desiderio di nazionalismo in Italia, così in Europa, vede nei migranti, nei poveri, nei diversi il nemico, un “capro espiatorio”. Queste persone che fugono da guerre e da carestie sono sempre più spesso vittime degli atteggiamenti d’intolleranza. Per questo nel documento abbiamo anche ribadito la nostra favorevole adesione ad una legge per lo jus soli. Riconoscere alle persone che vivono da tempo in Italia la piena cittadinanza non dovrebbe essere una “concessione” o un atto di “benevolenza”, ma dovrebe essere un interesse della Repubblica. Oggi, invece, assistiamo a una “propaganda” che genera solo nuove tensioni sociali: “guerre tra poveri”. Poche azioni concrete sono dirette a gestire fenomeni quali: le nuove povertà, l’aumento della disoccupazione, la Tratta di esseri umani, la violenza sulle donne, per fare solo alcuni esempi. In materia di libertà religiosa abbiamo espresso il nostro auspicio che si possa arrivare al più presto all’individuazione di una data per poter celebrare la “Giornata per la libertà di coscienza, di pensiero e di religione”, auspicando che questo possa evvenire nel ripsetto di una laicità capace di favorire il dibattito tra posizioni diverse».

– L’Assise ha apprezzato l’impegno profuso dalla Fcei attuando i Corridoi umanitari, il progetto Mediterranean Hope, l’azione di Medical Hope e verso i “migranti dublinati”, prime vittime degli accordi di Dublino. Che cosa ci dicono questi progetti?

«Nel nostro piccolo siamo riusciti ad aiutare circa 1800 persone in questi ultimi anni. Pensate cosa si potrebbe fare se questi esempi fossero praticati e copiati su ampia scala. Eppure, oltre a “dare un buon esempio”, bisognerebbe fermarsi e riflettere per comprendere il “segno dei tempi”. Le cause che determinano i flussi migratori sono epocali e di dimensioni drammatiche. Alcuni politici lo hanno compreso, altri no. Gli effetti climatici che investono l’Africa non sappiamo quali effetti produrranno nei prossimi decenni, così il progressivo impoverimento di intere Regioni del mondo. Oggi servirebbe un “Piano Marshall” per l’Africa, non lamentele dettate dalla  paura, spesso indotta da minacce inesistenti. Credo che non vi sia una reale consapevolezza della drammaticità del tema. Dovremmo invece esserne coscienti e prepararci al futuro».

– Come?

«Servirebbe più formazione, più cultura, più consapevolezza sui fatti e le situazioni che circondano. Siamo vittime della percezione, dei social media e dall’assenza di intermediazione giornalistica. Questo, sia nella comunicazione politica istituzionale, sia in quella prodotta dalla rete sociale. Un sistema che, di fatto, ha soppiantato la vecchia informazione e annichilito quei luoghi di confronto che erano “agorà” di dibattito, di discussione culturale, politica, veri luoghi di formazione collettiva. Oggi le emozioni, le paure, le “pance” delle persone, le suggestioni, determinano scelte, leggi e azioni. Crediamo sia necessario ricostruire quel tessuto culturale, sociale e politico che si è perso in questi ultimi anni a partire dalle scuole e dalle Università, dalla formazione, individuando nuovi luoghi di discussione e di riflessione reali, e necessari per dibattere, meditare e per giungere a scelte anche sofferte, ma adulte. Evitando dunque di farci condizionare da slogan e luoghi comuni lanciati da qualcuno perché ritenuti “popolari”».