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L’Italia fragile dei sismi

A seguito del terremoto del 23 novembre del 1980 che colpì la Campania centrale e parte della Basilicata, si assistette a un gesto di grande mecenatismo: il gallerista napoletano Lucio Amelio commissionò a 66 artisti internazionali, tra cui Tony Cragg, Luciano Fabro, Andy Warhol, Mimmo Paladino,Gerhard Richter, Emilio Vedova e molti altri, delle opere che avessero come tema il terremoto. La collezione – mostra che ne risultò si intitola Terrae Motus ed è ora esposta in via permanente alla Reggia di Caserta.

L’arte, così come anche altri progetti legati alla cultura, sono quelli che spesso mantengono alta l’attenzione sulle necessità ancora vacanti dei territori feriti da un terremoto, legano persone in reti di sostegno e parlano di come sia, dopo le emergenze, lo stato delle cose.

Lo stato delle cose è proprio il nome di un progetto artistico e culturale composto da una rete di collaboratori, tra antropologi, scrittori, sociologi e soprattutto fotografi, che si interrogano sulle tematiche del dopo sisma. Si tratta di un grande archivio online con oltre 15.000 immagini e testi che nasce per essere un patrimonio documentaristico accessibile a chiunque e raggiungere più persone possibili attraverso sguardi e linguaggi diversi su cosa c’era prima e cosa c’è ora. L’Italia dopo il terremoto potrebbe interessare pochi, ovvero quelli che l’hanno subito, ma di fatto la ricostruzione è a carico di tutti. Non è pensabile che giornali e media ogni giorno possano occuparsi dei cantieri aquilani, del centro Italia o delle questioni irrisolte dell’Irpinia o del Belice; Lo stato delle cose è un progetto auto finanziato che nasce per colmare questo vuoto e dare un spazio di rappresentanza a queste situazioni e questi temi.

Ne parla Antonio Di Giacomo, ideatore e curatore del progetto.

Come nasce Lo stato delle cose?

«Nasce a gennaio 2016 nell’intento di restituire attenzione al cratere del sisma aquilano del 6 aprile 2009. Si era a quasi sette anni da quella scossa devastante e i destini della città dell’Aquila, dei paesi e delle frazioni che sono stati distrutti avevano sempre meno visibilità. L’idea è stata quella di cercare, attraverso una prima grande campagna fotografica realizzata tra maggio e giugno 2016, di restituire attenzione, riaccendere i riflettori sulle vicende di comunità e territori la cui strada verso la ripresa della normalità e la ricostruzione è tutt’ora in salita. Poi è avvenuto l’imprevedibile: tre mesi dopo il nostro lavoro all’Aquila, con 35 fotografi a esplorare e cercare di documentare la situazione, c’è stata la scossa di terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016. Questo ci ha portato a un ripensamento complessivo del progetto che è diventato un osservatorio permanente sulle Italie del dopo sisma. Lo stato delle cose è online da un anno e mezzo, dal 21 aprile 2017, quando l’abbiano presentato all’Auditorium del Parco di Renzo Piano all’Aquila, la città dov’era nato e si continua tutt’ora a lavorare. Il progetto, ovviamente, sarà permanente finché ci saranno sguardi, cuori e intelligenze al servizio dell’Italia fragile; questo è un progetto interamente autofinanziato e vede fino ad oggi l’adesione di un centinaio di fotografi e non solo».

Chi sono quindi le voci che compongono Lo stato delle cose?

«Restituire la complessità del dopo sisma è qualcosa che non si può fare con un solo linguaggio. Fin dal principio quello che abbiamo voluto realizzare, attraverso un blog che abbiamo chiamato Scritture, è uno spazio di confronto, un’agora virtuale nella quale possano confluire più saperi e più esperienze di narrazione e di analisi delle questioni poste in gioco sui territori terremotati. Penso in questo senso ai contributi di giornalisti come Mario Di Vito e Federica Tourn, degli scrittori Alessanadro Chiappanuvoli e Loredana Lipperini, di antropologi come Giovanni Gugg o Fabio Carmelli, geografi come Lina Calandra e Giuseppe Forino».

Cosa racconta la complessità di queste voci?

«Dicono che purtroppo a parte l’esperienza positiva della gestione del dopo sisma in Friuli, nel 1976, le politiche in tale senso in Italia si sono risolte in media come fallimentari. Ancor di più il terremoto del centro Italia del 2016 – 2017, che ha colpito la bellezza di 140 paesi, non solo Amatrice e Norcia, ci pone con urgenza delle domande rispetto al futuro del cuore del paese. Parliamo di un cratere che interessa quattro regioni: Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Parliamo di 140 centri che rischiano di scomparire dalla cartina geografica; centri che già soffrivano le problematiche dello spopolamento e in questo senso il terremoto è soltanto un fattore di accelerazione di questo fenomeno nell’Italia interna».

Eppure nei momenti di difficoltà c’è qualcosa che porta le persone a unirsi e provare ad aiutarsi e aiutare il territorio. Ci sono altri esempi con i quali il progetto Lo stato delle cose fa rete?

«Assolutamente si. Penso per esempio a un’esperienza assolutamente virtuosa: quella di una rete dal basso che si chiama Terre in Moto Marche, nata all’indomani del 2016, che è uno straordinario collettore di esperienze, di momenti di confronto, aggregazione sul territorio per rivendicare quello che è il diritto ad esistere di ciascun paese. Un’esperienza ragguardevole è anche quella della sociologa Silvia Sorana che insieme alla casa editrice hacca edizione, ha dato vita al progetto  Futuro Infinito per realizzare, in assenza di presidi socio culturali vivi sul territorio, una biblioteca diffusa nelle casette post sisma, le cosiddette soluzioni abitative di emergenza».

Nonostante il cratere, quelle di cui parliamo sono zone che continuiamo a identificare come luoghi di bellezza e cultura. Il linguaggio dell’arte può ancora aiutare a dargli voce?

«Credo fortemente di si e credo che la sfida che noi proponiamo, attraverso una nuova open call a fotografi e film maker italiani, sia quella di continuare, nel 2019, a raccontare le Italie del dopo sisma e farlo attraverso la fotografia e non solo. Vogliamo che non soltanto il cratere del centro Italia, non soltanto la città dell’Aquila e i borghi colpiti del 2009 siano raccontati, ma c’è la necessità di continuare a mantenere gli sguardi orientati verso quella che è l’Italia fragile. Penso in questo senso anche all’Irpinia dove la ricostruzione non è una partita conclusa. Ci sono amministrazioni comunali che oggi, a 38 anni di distanza del terremoto, hanno ancora l’Assessorato alla ricostruzione. Nella periferia di Potenza c’è un quartiere ormai ghetto, in cui dal 1982 vivono 500 famiglie che dovevano occupare le casette in via temporanea. Ormai temporanee non sono più e la circostanza aggravante è che queste casette sono coibentate in amianto. Ma possiamo anche pensare al terremoto del 31 ottobre 2002, di San Giuliano di Puglia in cui morirono 27 bambini per il crollo del tetto della scuola cittadina. San Giuliano è stata ricostruita però a una manciata di km, nel comune di Colletorto, da 16 anni i bimbi vanno ancora a scuola in una struttura prefabbricata che comincia a sentire i segni del tempo».

 

Foto: Mario Capriotti, Campotosto. 2018