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Ici, pastrocchio all’italiana?

Gran clamore per un paio di giorni, titoloni a piena pagina del tipo «l’Europa impone l’Ici alla chiesa cattolica»

«Il governo non vuole riscuoterla», «una stangata da 5 miliardi». Dopo la fiammata, cala il silenzio e viene a mancare una informazione accurata e non inutilmente scandalistica. Un altro esempio simile che mi viene in mente è la questione dei vitalizi ai parlamentari: tutti d’accordo per eliminarli, qualcuno parla di inaccettabile privilegio; i partiti lo mettono come punto qualificante nei rispettivi programmi elettorali, e poi nei fatti rimane tutto più o meno come prima.

Ma veniamo all’Ici, all’Europa alla chiesa cattolica e al governo italiano. Dopo un lungo contenzioso giudiziario che ha avuto origine dalla denuncia di una scuola romana, la Corte di giustizia europea ha emesso una sentenza che obbliga il governo italiano a recuperare l’Ici non pagata dalla chiesa cattolica nel periodo 2007-2011.

 Su tutta questa complicata materia bisogna tornare all’inizio, 1992, quando, con il governo Amato, fu approvata la legge 504 che stabiliva quali edifici erano esenti dal pagamento dell’Ici. Non solo della chiesa cattolica, ma anche delle altre chiese e di numerose associazioni di volontariato, Onlus, Ong, per gli immobili di loro proprietà destinati esclusivamente ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, culturali, ricreative, sportive. Nel 1992, con il governo Berlusconi la legge fu parzialmente cambiata e nel 2012 il Governo Monti l’introdusse l’Imu.

Nel frattempo però la chiesa cattolica aveva goduto di grossi sconti fiscali per diversi anni (a partire dal 1992) e la Commissione europea decise di intervenire perché l’esenzione su determinati immobili poteva di fatto configurarsi come indebito aiuto di stato. Se ad esempio due scuole fanno la stessa attività, una in un edificio di proprietà ecclesiastica (esente da Ici) e l’altra no, si determina una concorrenza illegittima.

Questa fu appunto la denuncia della scuola Montessori. In un primo tempo però la Commisione non fece nulla perché il nostro governo sostenne di non poter procedere al recupero delle somme dovute per difficoltà organizzative (informazioni insufficienti per stabilire quali immobili o parti di essi fossero utilizzati per fini commerciali e quali no). Ma con la sentenza di questi giorni le cose sono cambiate: essa infatti impone alla Commissione europea di chiedere all’Italia il recupero delle somme dovute. Si tratterebbe, pare, di circa 5 miliardi, estremamente utili per la manovra economica del governo! Quanto alle difficoltà di riscossione la Commissione ha stabilito che spetta solo all’Italia risolverle.  Se l’Italia non dovesse farlo, anziché incassare 5 miliardi, il nostro paese potrebbe subire una sanzione di centinaia di milioni a carico, come al solito, di tutti i cittadini e non dei responsabili. A complicare ulteriormente le cose c’è il fatto che, essendo l’Ici una imposta comunale, sono i comuni a doverla riscuotere. Ma attualmente questo non è previsto e perciò ci vuole una legge del Parlamento (la solita volontà politica) per permettere al governo e ai comuni di recuperare le somme non pagate.

Insomma un bel pastrocchio all’italiana: non è infatti pensabile che i messi comunali si mettano a girare per notificare le cartelle esattoriali agli enti religiosi inadempienti.

In conclusione, se l’affermazione sulla illegittimità di aiuti di stato mascherati da esenzioni fiscali è importante, il rischio che tutto si areni nei meandri parlamentari è alto. Sembra che per i condoni si faccia più presto.Staremo a vedere se il cosiddetto governo del cambiamento è capace di far pagare il dovuto a tutti. Del resto, commentando la sentenza della Corte di giustizia europea, il  neo-presidente della Conferenza episcopale cardinale  Stefano Russo, ha detto che chi svolge un’attività commerciale in immobili ecclesiastici  è tenuto come tutti a pagare i tributi, senza sconti e senza eccezioni. Detto questo ha anche aggiunto che bisogna distinguere le modalità molto varie con cui le attività si svolgono e che i servizi resi ai più poveri non vanno considerati commerciali.

Ma, aggiungo io, non ci devono neanche essere i “furbetti” che, semplicemente costruendo all’interno di un ostello una cappella per la messa, fanno passare per attività religiosa quella che è di fatto alberghiera e dunque soggetta all’Imu.