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Decreto sicurezza, di nuovo rischio ghetti e irregolarità

Trentanove articoli, suddivisi in quattro capitoli che ridisegnano il sistema dell’accoglienza in Italia: il decreto sicurezza è stato approvato dal Senato con voto di fiducia il 7 novembre. In attesa del via libera definitivo della Camera, sul testo sono piovute le critiche di tutti i principali attori che si occupano di migrazioni, raggruppati sotto il cappello del Tavolo Asilo Nazionale: da Emergency alla Comunità di Sant’ Egidio, dalle Acli alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, enti laici e confessionali lamentano che si stia «generando, in nome della sicurezza, un inasprimento della disciplina del soggiorno che aumenterà l’illegalità e renderà più fragile la coesione sociale».

Abolizione della protezione umanitaria, sostituita da un permesso di soggiorno della durata di un anno. Raddoppio del trattenimento nei Centri per il rimpatrio per gli stranieri in attesa di espulsione: dagli attuali 30 giorni, prorogabili di 15, si passa a 60+30. Aumento di pene per gli occupanti abusivi di edifici o terreni. Ma la misura forse più nota è il taglio dei «famosi» 35 euro al giorno che venivano erogati per l’accoglienza dei richiedenti asilo: le cifre ora oscilleranno dai 19 ai 26 euro in base alle dimensioni dei centri di accoglienza. Questi ultimi tornano a essere dei grandi contenitori di centinaia di persone: è previsto infatti lo smantellamento dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che includerà solo i titolari di protezione internazionale (non quelli che la stanno richiedendo) e i minori non accompagnati. Gli altri troveranno accoglienza solo nei centri a essi dedicati (i Cara). Il decreto dettaglia anche il perché dell’abbassamento dei costi: garantiti la fornitura di cibo, di beni monouso, di utensili, l’affitto della struttura. Non una sola parola sui servizi di integrazione, un tempo previsti anche per i richiedenti asilo ospiti nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e nei Cara. Niente scuola di italiano e altre attività di inclusione sociale. Con la conseguente perdita di posti di lavoro per enti e cooperative e soprattutto l’abbandono dei migranti a se stessi.

 

«Avremo di nuovo gruppi di giovani che non hanno nulla da fare tutto il giorno, ammassati in strutture che sono vere e proprie bombe a orologeria, pronti a divenire facile manodopera per lavoro nero e criminalità». A parlare è Francesco Maragno, sindaco di Montesilvano, cittadina abruzzese rimbalzata in queste settimane nelle cronache dei giornali per la positiva esperienza di accoglienza messa in atto con la chiusura dei Cas e l’avvio di uno Sprar. Maragno, ispettore della Guardia di finanza, è espressione di una giunta di centro-destra, ed è anche questo aspetto ad aver attirato l’attenzione dei media. «Ma bisogna distinguere le opinioni dai fatti – ci racconta nel suo ufficio – e i fatti dicono che i Cas sono una catastrofe mentre il modello Sprar è un’eccellenza che non andrebbe ridimensionata bensì estesa a ogni Comune italiano». E lo sa bene lui, che ha chiuso due Cas da 500 posti – «stavano per diventare 1000» – e scelto una via differente che conterà a regime 161 persone (oggi sono 101) in buon numero in famiglie, con le quali sono stati avviati effettivi progetti di accoglienza: borse lavoro, integrazione scolastica, corsi di lingua, e poi l’iniziativa che ha visto Montesilvano segnalato per l’Oscar dell’Ecoturismo 2019, riconoscimento conferito da Legambiente per le politiche di sostegno all’inclusione sociale: «il nostro Comune è conosciuto per aver ben due spiagge senza barriere dedicate ai diversamente abili, un fiore all’occhiello cui teniamo molto. Sette migranti la scorsa estate si sono occupati non solo di manutenzione o pulizie, ma hanno dato assistenza ai disabili nell’accesso ai servizi. Si sono creati una collaborazione e un clima bellissimi, esempio perfetto di un’accoglienza riuscita».

L’accostamento della sua esperienza con quella di Riace però non lo convince: «Sono differenti i presupposti: la scelta di Riace è legata a un coraggioso esperimento di ripopolamento, mentre qui si trattava di disinnescare una situazione che aveva esasperato i residenti e fatto fuggire i turisti». Che per un Comune di 55.000 abitanti che in estate vede decuplicare le presenze sul suo territorio significava il disastro. Per Mimmo Lucano però spende parole non di circostanza: «Al di là degli eventuali errori che spetta alla Magistratura verificare, la sua esperienza è straordinaria, per cosa ha fatto e per dove lo ha fatto, in un contesto territoriale difficilissimo come quello calabrese, che conosco per avervi prestato servizio»). Ricreare luoghi in cui stipare centinaia di persone con il rischio di far scoppiare la bomba sociale, pretesto di un intervento in materia di migrazioni ancora più drastico; questo pare il disegno governativo. Il ministro dell’Interno, che da leader dell’opposizione tuonava contro il Cara di Mineo, «una vergogna a cielo aperto», oggi ne ripropone molte repliche in giro per il paese. Un controsenso o una tragica strategia politica?

 

Nella foto al centro il sindaco Maragno presenta il progetto di accoglienza sulle spiagge