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Back to Bach

La rassegna Back to Bach, attualmente in corso a Torino, è alla terza edizione e nasce dal desiderio dei musicisti del coro Maghini di avvicinare il grande pubblico alla musica del grande compositore tedesco. C’è il lato della ricerca più attenta a livello di linguaggio tecnico e spirituale, ma anche la voglia di condividere con il maggior numero di persone possibili l’immediatezza della musica. Lo scopo è anche avvicinare i più giovani o coloro che non frequentano abitualmente l’ambiente che consideriamo “classico” ad alcuni capolavori composti dal grande musicista. Johann Sebastian Bach nasce a Eisenach nel 1685 in una situazione religiosa molto instabile, ma nonostante ciò non mancherà mai di scrivere per la gloria di Dio, radicandosi nel pensiero al credo evangelico-luterano, ma dimostrando la sua universalità attraverso, per esempio, la Passione secondo Matteo.

Il programma della rassegna continua fino a inizio dicembre spostandosi, tra i vari luoghi, anche nel tempio Valdese di corso Vittorio con due appuntamenti il 21 novembre e il 5 dicembre.

Ne parla Chiara Bertoglio, vicepresidente del coro Maghini, musicista, musicologa e teologa.

Come si fa ad avvicinare le persone alla musica classica?

«Prima di tutto attraverso la passione dei musicisti. A volte anche noi non abbiamo sufficiente coraggio nel credere in ciò che facciamo e nella grandezza della musica che presentiamo, e se non siamo convinti noi è difficile che lo siano gli altri. Il coro Maghini, dal canto suo, ne è molto convinto. Poi cerchiamo di affrontare i diversi linguaggi della musica classica in generale e di Bach in particolare: nel nostro festival non c’è solo Bach, è al centro ma c’è molto altro. Cerchiamo di vedere le diverse tipologie della sua musica, da quella liturgica, quindi le cantate e l’Oratorio di Natale, dalla musica destinata al servizio divino ma senza parole, alla musica strumentale di tipo profano che va da quella più immediata, come possono essere i concerti brandeburghesi, a quella invece più complessa e speculativa. Una panoramica ad ampio spettro in cui ha anche posto la musica più contemporanea».

Il tema di quest’anno è I colori di Bach, in che modo viene interpretato?

«Abbiamo pensato di focalizzarci sui colori in diversi modi: da un lato è un po’ il fil rouge che collega i vari concerti attraverso qualche gioco di parole, con anagrammi o con riferimento alle circostanze della composizione. Però i colori sono anche i timbri: alcune esecuzioni del nostro cartellone sono realizzate con gli strumenti antichi e rivelano l’attenzione di Bach a determinati colori strumentali. In altri casi c’è una maggior libertà che rivela come la sua musica sia abbastanza solida da reggere alcune trasposizioni timbriche. È un modo per vedere che la musica di Bach è tutt’altro che monocromatica ma anzi dà la possibilità a tutti di esserne coinvolti».

Bach è noto come musicista teologo. In che modo la spiritualità emerge dai suoi lavori più liturgici come da quelli più profani?

«Personalmente nella dimensione liturgica di Bach trovo una ragione in più per amarlo. Apre il cuore anche alla contemplazione del trascendente. Proprio la densità teologica e spirituale di Bach, che è sconfinata e insegna tantissimo, lo rende affascinante anche a persone che non sono credenti e, anzi, le avvicina a una dimensione di contemplazione. Un collega violinista un giorno mi ha detto: “io non credo in Dio, ma se ci credessi sarebbe il Dio di Bach”. Questo mi ha colpita perché rivela che la spiritualità di Bach parla veramente a tutti.

Quando si ha la conoscenza, la fede e anche la capacità di riflettere sull’esistenza emergono dalla musica delle dimensioni spettacolari. Ad esempio anche nell’Oratorio di Natale che eseguiremo a dicembre ci sono alcune finezze di approfondimento teologico che rivelano un pensiero, oltre che un ispirazione musicali, straordinari. Ci sono delle sottolineature, a livello di partitura, che fanno emergere la differenza tra la semplicità dei pastori davanti all grotta di Betlemme e la sfavillante felicità degli angeli davanti alla scena della natività. Invece uno dei brani che ha aperto il festival, la Ciaccona, che di per se fa parte del repertorio profano, ma nella quale Bach ha inserito tutta una serie di corali che, rivelati solo in epoca molto recente da studi musicologici, rappresentano il suo itinerario di appropriazione e superamento del lutto causato dalla perdita della sua giovane moglie, che viene vissuto proprio come un momento di meditazione e di preghiera».