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La vita delle parole: ascolto

L’ascolto è forse il senso per eccellenza, quello che accompagna il nostro vivere e il nostro morire. È presente nel ventre della madre come nell’agonia di chi ci sta lasciando.

C’è un ascolto che può essere dimora per chi incontriamo, capace di offrire ospitalità. Presuppone sempre un esodo da se stessi, un cammino di uscita dal proprio io per aprirsi pienamente al volto dell’altro. Non ha brama di possesso, è umile e povero nel suo lasciarsi raggiungere dall’atto del dire.

Abbiamo bisogno di parole, a esse ci aggrappiamo tra una pausa e uno sguardo, ma le nostre parole sono riconosciute solo quando vengono ascoltate. L’ascolto non ha confini, vive anche dove ci sono i rumori, nel mezzo della vita che pulsa, respira nelle stanze che hanno argini di silenzio e cemento. Non serve un eremo. Perché l’ascolto non è mai separato dalla vita ma di questa si nutre. L’ascolto è un evento del corpo, che accarezza e plasma la nostra esistenza; talvolta si spinge oltre la parola, mette in luce ciò che non riusciamo a dire, quella sfasatura tra noi e le parole che non riusciamo a trovare. Mette in evidenza ciò che ci manca, entra in rapporto con il nostro vuoto, preserva ciò che non si può raccontare, ciò che esiste ma non ha nome. L’ascolto cura, illumina, custodisce, porta in salvo.

Anche la fede nasce dall’ascolto e la preghiera lo testimonia. Più che parlare con il suo Dio che non può vedere, il credente lo ascolta, anche nel suo silenzio, frequentando quotidianamente la parola biblica, in un continuo discernimento tra la Parola e le parole. Una Parola che si muove nella penombra e che accende un desiderio di luce, evoca, abita, attira trasforma. Una Parola che, in un tempo di parole spesso esauste, irrompe come un dono e vince le nostre solitudini.