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La Riforma protestante: anno 501

Tratto da chiesavaldese.org

Non ci sono dubbi che l’impatto positivo delle celebrazioni del 2017 si possa percepire ancora oggi, alla vigilia del 501° anniversario della Riforma protestante. Senza sminuire l’importanza di tale impatto è necessario porsi tuttavia qualche domanda sul futuro delle chiese della Riforma. Fulvio Ferrario con il suo libro Il futuro della Riforma (Claudiana, Torino) già nel 2016 ha cercato di aprire un dibattito su questo argomento e tale dibattito è tutt’altro che chiuso. In vista della prossima Giornata della Riforma vorrei indicare quindi tre argomenti che reputo particolarmente rilevanti: l’ecumenismo, il futuro dell’Europa e le il rapporto con religioni non cristiane.

Il 5 dicembre 2017 a Roma è stato compiuto un importante passo in avanti nel cammino ecumenico delle Chiese cristiane in Italia: ha visto la luce, infatti, un organismo che da tempo si aspettava e si invocava da più parti, e che per ora ha preso il nome di “Consulta ecumenica delle Chiese cristiane presenti in Italia”. Fanno parte di questo organismo tutte le chiese protestanti italiane storiche il che è sicuramente un segno positivo. Sono invece assenti le maggiori denominazioni pentecostali ed evangelicali che costituiscono oggi la parte maggioritaria dell’evangelismo italiano, con proporzioni piuttosto schiaccianti: ad ogni membro di una chiesa protestante storica corrispondono circa dieci credenti di altre denominazioni. Al livello globale tali proporzioni sono diverse: approssimativamente uno contro uno. Si tratta dunque di affrontare una questione strategica: il dialogo con la Chiesa cattolica e le chiese ortodosse è sicuramente importante ma noi protestanti italiani non possiamo trascurare le relazioni ecumeniche con chi nella nostra società porta avanti le stesse istanze della Riforma espresse nei famosi Solus/Solache in questi 501 anni hanno cambiato il volto dell’Europa e successivamente del mondo intero.

Infatti, tra il 23 e il 26 maggio 2019, quasi alla vigilia del 500° anniversario della Disputa di Lipsia, in cui sono state definite le basi della teologia evangelica, si svolgeranno nei paesi dell’Unione Europea le elezioni parlamentari. Si tratta di un appuntamento importante perché segnali di disgregazione e forti critiche nei confronti di questo organismo politico giungono da più parti. L’Europa però è una realtà geografica e culturale assai più ampia. Il protestantesimo storico è potenzialmente uno dei fattori di una nuova aggregazione dei popoli europei, come ha dimostrato l’Assemblea Generale della Comunione di chiese protestanti in Europa, tenutasi a settembre a Basilea. Affinché ciò avvenga realmente c’è bisogno di uno sforzo abbastanza impegnativo. «Credo che il servizio più grande che possiamo rendere alla chiesa universale consista nel richiamarsi costantemente ai princìpi protestanti e nel sostenerli con fermezza», scriveva nel 1994 André Gounelle (I grandi princìpi del protestantesimo, ed. it. Claudiana, Torino 2000 e 2007). Dopo quasi un quarto di secolo questo richiamo rimane sempre valido. Nelle nostre chiese non di rado manca la più elementare conoscenza dei princìpi protestanti. «In tutta l’Europa avremmo urgente necessità di rivedere il percorso di formazione all’interno della chiesa», affermava il pastore Emanuele Fiume durante il culto di apertura del Sinodo valdese e metodista 2018.

La necessità di un’adeguata formazione risponde anche all’esigenza ineluttabile di confrontarsi con le comunità di fede non cristiane presenti in maniera sempre più visibile in Italia e in Europa. La mancanza di una solida formazione biblica e teologica porta non di rado a forme di sincretismo alquanto discutibili che non giovano né all’individuo né alla sua chiesa di appartenenza. Le religioni non cristiane hanno tanto da offrire ma bisogna avere un’adeguata preparazione per ricevere e moltiplicare questi doni. Non si deve perdere di vista inoltre la dimensione pubblica in cui chiese e religioni diverse si trovano a convivere. Fanatismo e ignoranza sono sempre pronti a colpire. Ma proprio in questo contesto vorrei richiamare l’autorevolezza di un altro intellettuale protestante: Daniel Marguerat. È stato appena pubblicato da Claudiana il suo libro intitolato La preghiera salverà il mondo. «È stato Dio, e nessun altro, a salvare il mondo. Il mondo, però, deve volerlo, desiderarlo. La preghiera serve a questo: lasciare che Dio venga in noi e operi in noi la sua salvezza», dichiara il teologo di Losanna. Nei prossimi giorni e anni queste frasi dovrebbero diventare un punto di riferimento imprescindibile per tutte le chiese della Riforma.