luciano-cirica-nl

Betania, un ospedale a braccia aperte

Il 20 ottobre 1968 con un culto di dedicazione a Dio, presieduto dal moderatore della Tavola valdese, past. Neri Giampiccoli, si dava inizio alle attività dell’Ospedale evangelico Villa Betania nel quartiere Ponticelli (Na). In vista delle celebrazioni del Cinquantennale dell’Ospedale evangelico Betania, che si terranno il 19 e il 20 ottobre prossimi, abbiamo rivolto alcune domande a Luciano Cirica, presidente della Fondazione Betania, ente proprietario dell’ospedale.

«Betania, un ospedale a braccia aperte», è il titolo dato alle celebrazioni. Qual è il significato di questa definizione?

«Questo slogan nasce dal fatto che il nostro è sempre stato un ospedale accogliente nei confronti di tutti senza distinzioni o discriminazioni. Questo può sembrare scontato ma non lo è, perché nonostante l’ospedale abbia affrontato difficoltà e momenti crisi, abbiamo sempre privilegiato l’accoglienza sul risultato economico. Siamo aperti nei confronti delle persone più emarginate, povere che sempre più spesso si affollano al nostro Pronto Soccorso, e che oltre ad un intervento di carattere medico necessitano di assistenza di carattere umanitario, solidale».

In questi 50 anni quali cambiamenti ci sono stati? Cosa invece a suo avviso è rimasto immutato?

«Per quanto riguarda i cambiamenti, la nostra è una struttura che dagli iniziali 60 posti letto e 86 dipendenti è passata a 158 posti letto e oltre 400 dipendenti: l’ospedale è cresciuto, si è ampliato. Betania da “casa di cura” è stato classificato nel 1993 come “ospedale generale di zona”, e dal 1998 è stato inserito nel Piano regionale ospedaliero quale sede di Pronto Soccorso attivo. Siamo una struttura pubblica che offre una vasta gamma di specializzazioni (circa 20), e interventi. La nostra struttura è riconosciuta soprattutto dall’utenza, stiamo parlando di circa 300mila persone, e il 3% dei nostri malati proviene da altre Regioni: segno che l’ospedale è apprezzato dagli utenti oltre che dalle istituzioni. In questi 50 anni invece direi che è rimasto immutato il senso di accoglienza nei confronti di tutti/e, e il senso comunitario della struttura. I dipendenti si sentono a casa, siamo sì cresciuti, ma non siamo diventati una struttura senza umanità. L’altro elemento immutato è senz’altro quello della solidarietà: da sempre privilegiamo l’aspetto della cura e dell’assistenza. Ogni anno assistiamo gratuitamente circa 1000 persone, in particolare extracomunitari».

Gli anniversari sono l’occasione per fare delle valutazioni: ci sono traguardi raggiunti? Quali obiettivi invece sono ancora da realizzare?

«Sicuramente abbiamo raggiunto un livello qualitativo e strutturale importante, però davanti a noi c’è la sfida dell’ampliamento: l’ospedale ha bisogno di ampliarsi per offrire maggior confort alle persone malate, ai familiari. Dobbiamo inoltre lavorare sul tema dell’offerta sanitaria che sta cambiando, della qualità e su quello della sostenibilità economica: il nostro ospedale deve fare i conti con un budget regionale, e conciliare la solidarietà con l’efficienza spesso non è facile. Altro tema che ci piacerebbe affrontare in futuro è legato al welfare aziendale, perché crediamo che sia centrale migliorare sempre di più le possibilità di sviluppo professionale, formativo e motivazionale dei nostri dipendenti».

Di ampliamento dell’Ospedale se ne parla ormai da anni. Ci sarà?

«L’ampliamento è in dirittura di arrivo: abbiamo presentato la domanda del permesso a costruire e stiamo aspettando a giorni l’ok definitivo. Siamo fiduciosi che quanto prima, forse già il 20 ottobre, potremo annunciare l’ottenuto permesso a costruire: in un anno e mezzo raddoppieremo gli spazi. L’aspetto importante di questa operazione è legato al fatto che l’ampliamento sarà interamente pagato dall’Ospedale Betania, con l’autofinanziamento e con i finanziamenti dell’8 per mille valdese e metodista: questo progetto sarà senza oneri per lo Stato. È un altro regalo che facciamo al territorio e alle persone che ci vivono».

L’ospedale nacque da una visione e dall’impegno delle chiese evangeliche di Napoli e non solo. Qual è oggi il ruolo delle chiese fondatrici nell’Ospedale?

«Il ruolo delle chiese è essenziale: hanno un ruolo organizzativo, perché scelgono quelli che sono gli organismi direttivi dell’ospedale; svolgono un ruolo gestionale importante perché sono quelle che approvano i bilanci consuntivo e preventivo; un ruolo programmatico, perché l’assemblea delle chiese decide quelle che sono le scelte più strategiche per l’ospedale. Da ultimo, le chiese hanno anche un ruolo di carattere morale cioè quello di vigilare affinché la mission di testimonianza e di solidarietà dell’ospedale sia mantenuta e diffusa».

Da quasi tre anni lei è presidente dell’Ospedale. Cosa rappresenta per lei questo impegno?

«È un’esperienza entusiasmante che affronto con grande gioia. Sto vivendo questo ruolo come una vocazione e mi sforzo di farlo in maniera corretta. È un impegno notevole dal punto di vista delle preoccupazioni e dei problemi che sorgono, ad esempio abbiamo di fronte uno scenario nuovo che è legato alla crisi degli organici medici: tutto il sistema sanitario italiano sta vivendo e vivrà in futuro il problema della carenza dei medici. È un tema nuovo che stiamo cercando di affrontare, e che sarà il tema del futuro per tutta la sanità italiana».