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Italia crocevia di migrazioni

Mentre in Italia è particolarmente vivace il dibattito sulle tematiche dell’immigrazione, e in particolare su coloro i quali arrivano nel nostro paese dal mare attraverso la rotta mediterranea, da qualche tempo si comincia a sentire anche qualche notizia che riguarda i cittadini italiani all’estero, gli emigrati. Non mi riferisco tanto al dibattito sui «cervelli in fuga» e ai ricercatori italiani all’estero. All’interno della vasta nebulosa che costituisce l’emigrazione italiana c’è di tutto: da questi ai giovani, soprattutto meridionali, con o senza titolo di studio, in fuga dalla disoccupazione di massa. Insomma c’è fuga o mobilità dei cervelli ma anche e soprattutto fuga delle braccia.

La stampa ha dato di recente con una certa enfasi la notizia di una donna italiana alla quale è stato dato il foglio di via dalla Germania perché priva di un reddito sufficiente. E sono noti fatti analoghi già avvenuti in altri paesi. Questo succede nell’Europa Unita – per altro a norma di legge. E questo dovrebbe farci riflettere. Poi magari nessuno ottempera al foglio di via, ma si tratta comunque di un brutto segno. Tra riattivazione di norme restrittive non più applicate in passato e una nuova legislazione volta a ridurre l’accesso al welfare e al godimento dei diritti sociali, i paesi dell’Unione stanno diventando sempre meno aperti nei confronti degli stranieri, compresi i cittadini dell’Unione. È l’effetto del sovranismo. Si tratta di quei sentimenti attivati dagli imprenditori politici del razzismo, che in Svizzera hanno prodotto i risultati di referendum anti-immigrati e lavoratori frontalieri che hanno colpito pesantemente gli italiani. E non è certo motivo di soddisfazione pensare che in questo caso tra le vittime ci sono probabilmente anche lavoratori educati all’odio per l’estraneo dalle organizzazioni e dai partiti xenofobi italiani particolarmente forti nel Nord del paese.

Con cinque milioni di cittadini stranieri residenti nel paese e un numero corrispondente di cittadini italiani residenti all’estero, l’Italia è diventata negli ultimi anni sempre più un crocevia migratorio. Non è l’unico paese che vive questa situazione: negli ultimi anni anche altri paesi – a esempio quelli dell’Europa mediterranea – vivono la stessa esperienza, dovuta in gran parte ai processi contemporanei di internazionalizzazione e segmentazione del mercato del lavoro. Ma l’Italia è un caso particolarmente significativo per la portata di entrambi i fenomeni e per il modo profondamente diverso in cui essi sono percepiti e vissuti dalla popolazione.

In concreto negli ultimi anni, con una intensificazione nel periodo più recente, l’attenzione all’immigrazione è stata notevole e il dibattito è stato acceso. Al contrario sono finora passati piuttosto sotto silenzio la nuova emigrazione italiana e i significativi processi sociali che l’accompagnano. E quando la stampa meritoriamente se ne occupa, mostra sorpresa per l’entità e la rilevanza di questo fenomeno che ormai ha acquistato dimensioni di massa e paragonabili per molti versi alla grande emigrazione italiana del dopoguerra. La novità è che secondo l’Istat, che basa le sue informazioni sulle cancellazioni anagrafiche cioè sulle sole partenze ufficialmente registrate, il numero delle persone che hanno lasciato l’Italia nell’ultimo anno è ormai il più alto dal 1971.

Il numero di coloro che prendono la residenza in Italia continua a essere molto più grande del numero di coloro (italiani e stranieri) che la lasciano, di «quelli che se ne vanno». Ma il numero dei primi da un po’ di anni sta calando e il calo riguarda soprattutto quelli arrivati per motivi di lavoro. Aumentano quelli che arrivano dal mare fuggendo da persecuzione ma anche da catastrofi ambientali o dalla fame. Uno dei grandi temi dell’offensiva anti-immigrati della destra è la paventata invasione che trova sempre più frequentemente un risvolto anche nel discorso politico «progressista» e nell’opinione pubblica dominati da un apparente buon senso che si esprime nel «non possiamo prenderli tutti». Per questo è bene svolgere una attiva opera di chiarimento e sui vantaggi per tutti della solidarietà. I provvedimenti restrittivi e persecutori come quelli in corso in Italia non renderanno il paese più sicuro ma – come l’esperienza insegna – produrranno ulteriore marginalità e rischio di devianza. L’unica via alla sicurezza, che tanto preoccupa l’opinione pubblica, è la solidarietà.

Enrico Pugliese, decanodella sociologia del lavoro, con il libro “Quelli che se ne vanno – La nuova emigrazione italiana“ (Il Mulino, pp. 160, euro 14) racconta perché gli italiani decidono di lasciare l’Italia.

Impresa non facile: all’Aire (l’anagrafe per gli italiani all’estero) non tutti si registrano per via dei lavori precari offerti dai paesi ospitanti. L’Istat sostiene che tra il 2012 e il 2016 abbiano lasciato l’Italia per la Germania 60.700 persone, per l’ufficio statistico tedesco 274.000. In Inghilterra negli ultimi due anni sarebbero emigrate 39.000 persone, 158.000 per l’ufficio presenze britannico. Esistono diverse categorie di emigranti e «fattori di spinta» (driver). Come ad esempio i pensionati che decidono di passare gli ultimi anni della loro vita in Portogallo o in Spagna con la pensione italiana; poi studenti, professionisti, giovani o genitori che si ricongiungono con i figli. Gli emigranti partono prevalentemente dalla Lombardia ma sono spesso calabresi o siciliani. Il 45% dei migranti è donna, e parte da sola. I giovani non sono «cervelli in fuga» ma «esuberi» delle fabbriche. L’Italia conta meno laureati di Grecia e Spagna e il 30% emigra. Mete più ambite: Germania e Inghilterra (la Brexit influenzerà questa scelta) che offrono essenzialmente lavori nella ristorazione e nei servizi di pulizia.