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La vita delle parole/Racconto

Racconto: verbo e sostantivo, è qualcosa di vivo, in movimento, che apre e chiude vie di storie e conoscenze. Il racconto è sempre di qualcosa o di qualcuno, è legato cioè alla comunicazione, al parlarsi fra genti. Le sue origini sono legate all’oralità, proprio come l’Odissea o la Bibbia, che prima di essere scritte, o canonizzate, hanno avuto diffusione di bocca in bocca. Nel racconto troviamo la relazione fra chi narra e chi ascolta, chi parla e chi ode. Il racconto, inoltre, contiene una morale, un significato particolare, un invito, un consiglio, un ricordo che serve d’insegnamento. Non importa se vero o inventato, esagerato o di poche righe, colto o popolare, il racconto affascina perché crea attesa per il finale.

Lo sapevano i cantastorie, artisti di strada che, come gli antichi barba valdesi, percorrevano le strade europee, con una lunga genealogia persa nella notte dei tempi: aedi greci, giullari, menestrelli, bardi celtici fino ai trovatori medievali, senza dimenticare i Pupi siciliani e i griot africani. Nella narrativa mediterranea trionfa  Shahrazad che  per mille notti tiene l’attenzione del suo sposo per aver salva la vita. Il racconto, appunto, salva perché rigenera con la forza di un messaggio.

Lo sa anche il credente protestante che ha da sempre può leggere da solo la Bibbia. I vecchi delle valli valdesi dicevano che in una vita era possibile leggerla tutta per tre volte, dalla Genesi all’Apocalisse. Del resto, nella vita quotidiana sono i racconti biblici che ci accompagnano attraverso immagini flash conficcate nella nostra memoria: Giona che perde l’ombra della pianta di ricino, Giobbe che non comprende il suo triste destino, senza contare le parabole di Gesù che in semplici racconti, tratti dal paesaggio intorno, invitava a non essere solo di questo mondo.