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Iran, una libertà da rispettare

45 anni di carcere per aver praticato la propria fede. Il caso di quattro cittadini iraniani, Victor Bet-Tamraz, Amin Afshar-Naderi, Shamiram Issavi e Hadi Asgari, arrestati dopo che le forze di sicurezza di Teheran avevano fatto irruzione nelle loro abitazioni nella capitale dell’Iran durante un privato raduno natalizio alla fine del 2016. Capita spesso che si parli di “cristiani perseguitati” in modo un po’ strumentale, inserendo nella categoria anche fatti e processi che andrebbero forse interpretati in chiavi differente, ma in questo caso l’impressione è diversa.

Nel luglio del 2017, il Tribunale rivoluzionario di Teheran aveva condannato i quattro a dieci anni di carcere ciascuno con l’accusa di aver formato un gruppo composto da più di due persone allo scopo di «interrompere la sicurezza nazionale». Inoltre, Amin Afshar-Naderi era stato condannato a ulteriori cinque anni di prigione per «aver offeso le santità islamiche» con un post satirico su Facebook. Nel post si adottava uno stile di scrittura coranica per commentare il forte aumento del prezzo della carne di pollo in Iran.

La vicenda, almeno per il ministro di culto Victor Bet-Tamraz, non è nuova: lui e la sua famiglia, infatti, sono perseguitati da anni. Già nel marzo del 2009, la chiesa pentecostale assira di Teheran, guidata da Bet-Tamraz, era stata chiusa dal Ministero degli interni perché svolgeva funzioni in lingua persiana.

Amnesty International ha lanciato un appello per portare l’attenzione sulla condizione dei quattro cittadini iraniani. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, afferma che «è ridicolo che praticare la propria fede venga equiparato a una minaccia alla sicurezza nazionale, perché è di questo che i quattro arrestati poi condannati hanno dovuto rispondere in sede processuale. Quello che hanno fatto è di aver organizzato raduni privati sotto le feste natalizie».

In Iran, le persecuzioni nei confronti di chi pratica confessioni differenti da quella musulmana sciita sono quotidiane e generalizzate, anche se nel Paese quella cristiana è una minoranza religiosa riconosciuta in modo ufficiale dalla Costituzione. «Nel loro caso – prosegue Noury – è una Costituzione che non viene attuata». «Non parliamo – chiarisce – di coloro che si convertono al cristianesimo, che sono giudicati degli apostati. A causa della loro fede, decine di cristiani ogni anno sono presi di mira tanto dal pubblico, con molestie e aggressioni, quanto dalle autorità con arresti, detenzioni arbitrarie, processi irregolari e condanne».

Quando nel 2015 venne firmato il JCPOA, l’accordo sul nucleare iraniano, i Paesi firmatari (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – insieme alla Germania, e all’Unione europea), affermarono che una delle motivazioni alla base della riapertura dei canali diplomatici e delle relazioni economiche con l’Iran era quella di provare a incidere sulla condizione dei diritti umani nel Paese. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno abbandonato l’intesa. Tuttavia, non è soltanto questo il problema. Secondo Amnesty International, «è un obiettivo mancato per responsabilità complessive». «La situazione in Iran – denuncia infatti Riccardo Noury – non è migliorata. Ci sono stati piccoli passi avanti per quanto riguarda l’applicazione della pena di morte, ma per un dettaglio legato all’aumento della quantità di droga in possesso o in spaccio per la quale si può essere condannati a morte, ma per il resto la persecuzione va avanti». In particolare, sono alcune categorie a continuare a pagare il prezzo più alto: giornalisti e difensori dei diritti umani, ma anche gli avvocati che hanno preso le difese delle ragazze che alla fine dello scorso anno hanno pubblicamente tolto il velo per protestare contro l’obbligo di indossarlo. «Però non è che – prosegue Noury – si sia chiesto con forza politica il rispetto dei diritti umani: non appena è stato firmato quell’accordo si è fatta una corsa a recuperare tutti i rapporti commerciali ed economici sospesi. Ancora una volta il miglioramento delle relazioni bilaterali, multilaterali o di un gruppo di Paesi con un altro non ha comportato miglioramento del rispetto dei diritti umani».

Amnesty International è impegnata in un appello online indirizzato al capo dell’apparato giudiziario, l’ayatollah Sadeq Larijani, per ottenere l’immediata scarcerazione dei quattro cristiani e l’annullamento delle condanne nei loro confronti. «Confidiamo molto – conclude Noury – sul fatto che singoli cittadini, che dunque non hanno alcun interesse a essere pro o contro i rapporti più o meno buoni con l’Iran, ma solo ai diritti umani, possano fare la differenza. Ci si è riusciti in molti casi e quindi confidiamo che anche in questa circostanza la libertà di coscienza e di religione, compresa la libertà di cambiare fede religiosa, siano rispettate».