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America latina. Uno sguardo protestante sulla recente crisi

La regione latinoamericana protagonista negli anni passati di un ciclo progressista, accompagnato spesso dall’attività e dal sostegno delle chiese protestanti, sta vivendo nuove instabilità politiche ed economiche ed una rinascita delle destre più reazionarie spesso legate, come è evidente in Brasile (al voto il 7 ottobre) con la candidatura di Jair Bolsonaro, a movimenti religiosi evangelical; tre giorni fa Bolsonaro ha ricevuto l’appoggio della Comunidade Evangélica Sara Nossa Terra, tra le più importanti chiese evangeliche pentecostali brasiliane, fondata e presieduta dal pastore Robson Rodovalho. Segnali preoccupanti attraversano tutta la regione; nel laicissimo Uruguay il fronte evangelico conservatore è riuscito a  far avere il patrocinio del Ministero del turismo ad un evento del movimento ProVita; in Argentina dopo il respingimento della legge sulla depenalizzazione dell’aborto un nuovo conflitto ha attraversato la società civile e il paese per alcune modifiche proposte sulla legge quadro sull’educazione sessuale nelle scuole. La stessa Argentina, a cui ieri il Fondo monetario internazionale ha concesso un credito di 7.100 milioni di dollari in cambio di politiche di aggiustamento strutturale che rischiano di colpire duramente la popolazione, è protagonista di un aumento di episodi di violenza politica.

Di tutto questo abbiamo parlato con la pastora Carola Tron, moderatora della Mesa Valdense Rio de la Plata.

Cominciamo con l’ultima vicenda uruguayana che vi ha visto coinvolti. Il ministero del Turismo aveva dichiarato di interesse turistico nazionale il “Congreso Nacional Sudamericano por la Vida y la Familia” che prevedeva la partecipazione di personaggi che sono conosciuti per le posizioni oscurantiste sui diritti delle donne e delle persone LGBT. La reazione di tante organizzazioni uruguayane, a cui la chiesa valdese uruguayana si è aggiunta, è riuscita a far cambiare idea al Ministero.

Abbiamo lavorato molto con un appello e una raccolta firme. L’Uruguay è un paese laico, molto secolarizzato, e spesso non riconosce la diversità di approcci che può esserci nel mondo cristiano. Per questo motivo, su questa vicenda, le organizzazioni LGBT ci hanno chiesto di intervenire, per chiarire la nostra posizione, il nostro pensiero differente, la nostra apertura sul tema della diversità e dei diritti sessuali e di genere. Negli ultimi anni stiamo assistendo a livello politico parlamentare a quel fenomeno che viene chiamato “bancadas evangelicas” (banchi evangelici), che trova la sua massima espressione in Brasile che invece ha una società molto religiosa. Queste “bancadas” sono vincolate a movimenti neopentecostali, con una forte identificazione con la “teologia della prosperità”. Sono gruppi che si muovono con una logica che, dal punto di vista sociologico, potremmo definire da setta; movimenti che cercano di conquistare il potere politico con un discorso semplice, che fa appello all’antipolitica e alla corruzione, e al cambiamento della classe politica. Fino a qualche tempo fa il cambiamento auspicato era rappresentato dagli impresari di successo, a scapito di chi aveva una formazione politica, e adesso appaiono questi religiosi, anche loro legati alla teologia della prosperità, che ragionano come un’impresa, con un’attenta analisi di marketing e di vendita di un prodotto religioso. Questo approccio celebra, ovviamente, tutto quello che ha a che vedere con il capitalismo e il neoliberismo; per loro evidentemente il messaggio di Gesù di una vita piena passa per il modello neoliberale di progresso e castigo.

Avete accompagnato in Uruguay, negli anni passati, tante conquiste di diritti per le donne, per le persone discriminate per l’orientamento sessuale, ecc. Nella società uruguayana si discute ora di una proposta di legge quadro per i diritti della persone transessuali. Come vi ponete rispetto a questo?

La chiesa valdese non ha un’opinione codificata su questo tema perché non abbiamo avuto ancora la possibilità di dibatterne in un sinodo. Ma possiamo dire qualcosa a partire da quanto la nostra chiesa ha già prodotto rispetto ad altre leggi sui diritti sessuali e riproduttivi, sulla difesa dell’educazione laica, sulla decisione di benedire coppie dello stesso sesso, da quando Uruguay ed Argentina hanno normato questo settore. Queste trasformazioni che attraversano la società in cui viviamo ci spingono a riflettere e domandarci che atteggiamento avere verso le persone della nostra comunità che ci interrogano e pretendono una risposta rispetto a questi cambiamenti. L’ingresso nelle nostre chiese di nuove persone, con identità differenti genera delle frizioni e quindi è necessario lavorare e affrontare questa sfida con l’obiettivo di ripensare chi siamo e perché crediamo.

In Argentina nelle scorse settimane, a margine della discussione sulla depenalizzazione dell’aborto, si è sollevato un dibattito sull’educazione sessuale nelle scuole. Anche qui i protestanti “classici” e gli evangelici neopentecostali hanno avuto posizioni diverse e ci sono state prese di posizione pubbliche.

Senza dubbio lo stato deve garantire la libertà nelle scuole pubbliche in modo che i bambini si sentano liberi e accompagnati nel loro processo di crescita. Certamente è importante che in questo spazio di apprendimento si parli anche di educazione sessuale perché si tratta di un ambito che fa parte dell’essere umano. È una realtà sulla quale bisogna lavorare. Chi crede che questo tema debba essere trattato solo all’interno della famiglia nega la realtà. Non tutte le famiglie sono in grado di offrire informazione adeguata e i bambini e le bambine sono soggetti di diritto al di là delle famiglie in cui vivono, e malgrado il contesto familiare che a volte non è ideale. Che situazione stanno vivendo i bambini i cui genitori non vogliono che si parli di questi temi?

Credo che la potenza mediatica delle realtà neopentecostali crei molta confusione nei vostri paesi. Come vi ponete come Chiesa valdese per far capire la differenza?

È un esercizio che dobbiamo fare continuamente. Ed è difficile perché siamo sempre in bilico su un crinale delicato che è quello dell’ecumenismo. Questo esercizio ci aiuta a riflettere continuamente su chi siamo e dove stiamo andando offrendo a chi ci accompagna strumenti adeguati, sempre nell’ottica di libertà dell’individuo di prendere decisioni.

Come chiesa dobbiamo guardare oltre le congiunture del presente, tornare al Vangelo e alla parola di Gesù, leggere la realtà nella prospettiva della giustizia e della pienezza. Credo che sia preoccupante che sempre più persone non abbiano accesso alla giustizia e ad una vita degna. Non è una questione solo antropocentrica. Dobbiamo guardare anche ai beni e alla creazione che ci circonda. L’approccio oppressivo di sfruttamento, di abuso delle identità, della natura, dei diritti, nuoce la vita della creazione, che è la nostra vita. Gesù aveva tante buone idee per farci avere una esistenza piena e dobbiamo tenere presente questo nella vita di tutti i giorni.

L’Argentina sta sprofondando in una nuova crisi economica e possiamo prevedere gli esiti che avrà sulla popolazione. Si aggiunge un aumento della violenza politica e istituzionale che è molto preoccupante. Qualche settimana fa una maestra che lavora come volontaria in una mensa popolare è stata sequestrata da una banda criminale e le hanno inciso sul corpo la scritta: “no olla popular” (no alla mensa popolare, ndr).

La domanda che tutti ci stiamo facendo in questi giorni è: chi trae beneficio da questi cicli di crisi in Argentina. Ho 42 anni ed è la terza volta che assisto a questi grandi crolli economici. Questo è sistemico o perlomeno intenzionale. Non credo siano degli errori politici; evidentemente ci sono persone che traggono beneficio da questa situazione. E mentre qualcuno si arricchisce si creano nuove generazioni di povertà. Dall’altro lato c’è questa mano dura che riappare con un grande grado di impunità. E questo è terribile. Ci riporta al passato recente della dittatura con un simbolismo che fa orrore. Chi ha sequestrato quella donna e ha marcato sul suo corpo i segni della violenza e lo ha fatto con l’intenzione di lasciare sul suo corpo un segno visibile dell’odio e della violenza istituzionalizzata.