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Quale protezione con il Decreto Salvini?

«Una picconata al diritto d’asilo». Con queste parole la Fcei, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, ha accolto l’approvazione in Consiglio dei Ministri del nuovo decreto legge su sicurezza e immigrazione, che porta la firma del ministro degli Interni, Matteo Salvini.

Il “via libera” del governo è avvenuto all’unanimità, spegnendo quindi le voci di distinguo e di perplessità che si riteneva potessero provenire dal Movimento 5 Stelle. Insomma, su questo provvedimento il dibattito interno si è risolto in una sintesi unitaria che sembra aver messo d’accordo le due anime del governo, che apparivano tra loro vicine sul tema immigrazione da alcuni anni.

Ma che cosa prevede il testo, passato ora all’esame del Presidente della Repubblica, che può presentare le proprie obiezioni? Nei 43 articoli vengono unificati due distinti decreti legge, uno sull’immigrazione e uno che conteneva altre misure di sicurezza, riconducendo al principio di necessità e urgenza elementi di natura variegata. «È sempre più evidente questo abuso della decretazione d’urgenza – spiega Gianfranco Schiavone, giurista, vicepresidente di Asgi e presidente dell’Ics, consorzio italiano di solidarietà – perché questo decreto presenta anche contenuti e disposizioni che non hanno nulla a che fare con i principi di necessità e urgenza. Pensiamo proprio alla parte che riguarda l’immigrazione: contiene riforme di amplissima portata, di istituti giuridici esistenti e consolidati nell’ordinamento, di istituti e organizzazioni come lo Sprar che esistono da 17 anni. È la tipica materia che, prescindendo dai contenuti, richiederebbe, per rispetto delle divisioni di poteri tra esecutivo e legislativo, un disegno di legge e non un decreto legge».

Ma se questa non è una novità, in un Paese in cui il Parlamento rappresenta sempre più spesso un ratificatore di proposte dell’esecutivo, entrando nel merito il decreto Salvini ne introduce alcune piuttosto rilevanti.

Innanzitutto, viene abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, sostituito da una serie di permessi speciali basati su 6 differenti fattispecie: vittime di grave sfruttamento, motivi di salute, violenza domestica, calamità nel paese d’origine, cure mediche, atti di particolare valore civile.  Inoltre, il decreto riforma, o ripensa, lo Sprar, il Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, riservato d’ora in poi soltanto ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati. Per i richiedenti asilo, invece, l’unica destinazione diventa il Cara, Centro di accoglienza per richiedenti asilo.

Proseguendo nella lettura del decreto si trova la sospensione della domanda d’asilo in caso di pericolosità sociale o condanna in primo grado, così come una più ampia possibilità di negare o revocare la protezione internazionale per reati nell’ambito della violenza sessuale, rapina, violenza a pubblico ufficiale, furto aggravato e detenzione o spaccio di droga. Infine, si prevede la revoca della cittadinanza italiana per i condannati per reati di terrorismo, sulla falsariga di quanto deciso in Francia negli ultimi anni.

Durante la conferenza stampa di presentazione del provvedimento, il ministro Salvini ha sottolineato più volte la necessità di abrogare l’istituto della protezione umanitaria, uno strumento che, secondo il suo parere, è stato utilizzato con troppa discrezionalità e in misura eccessiva. Eppure, non tutti la pensano così: secondo il giurista Gianfranco Schiavone, «spesso le commissioni territoriali hanno riconosciuto la protezione umanitaria in luogo invece di una più appropriata protezione internazionale, quindi si sono verificati casi di questo tipo esattamente opposti a quelli che sono stati indicati dal ministro Salvini». Nelle intenzioni del decreto, che dedica alla protezione per motivi umanitari il primo articolo, ora la protezione verrà normata e tipizzata, quindi resa più oggettiva. Prima di tutto, però, viene resa più restrittiva: le situazioni descritte come fattispecie di protezione speciale vengono in alcuni casi sottratte alla competenza della commissione territoriale e vengono affidate al questore, istituendo, secondo Schiavone, una «discrezionalità amministrativa che la giurisprudenza aveva faticosamente superato da oltre un decennio».

Al netto delle opinioni e dei pareri, c’è però un aspetto critico: la protezione per motivi umanitari, infatti, è attuativa dell’articolo 10, terzo comma, della Costituzione, che delimita il diritto d’asilo in maniera più ampia rispetto alla protezione internazionale. «Senza la protezione umanitaria – chiarisce Schiavone – il diritto d’asilo non è interamente attuato in Italia».

La domanda è proprio questa: è possibile cancellare totalmente la protezione umanitaria? «La risposta – prosegue Schiavone – è no, perché una legge attuativa di un diritto costituzionalmente garantito non può essere semplicemente cancellata. Ci troviamo di fronte sicuramente a un serissimo problema di legittimità costituzionale in violazione dell’articolo 10 terzo comma e ci troveremo contemporaneamente di fronte al fatto che in assenza di questo istituto, ci troveremo di fronte a un numero enorme di dinieghi e a un numero altrettanto enorme di contenziosi nei tribunali, nei quali si chiederà l’applicazione diretta dell’articolo 10 terzo comma della Costituzione in assenza di una legge ordinaria».

Per chi si vedrà rifiutare la domanda di protezione internazionale, la destinazione sono i Cpr, Centri di permanenza per il rimpatrio, istituiti nel 2017 dal predecessore di Salvini, Marco Minniti. Ma anche qui, le condizioni saranno differenti: la durata massima di permanenza nei Centri per il rimpatrio passa infatti da tre a sei mesi per facilitare l’espulsione degli irregolari. Il decreto prevede anche il «completamento, adeguamento e ristrutturazione» dei centri già presenti sul territorio e la costruzione di nuove strutture, un’idea che era stata proposta anche dal precedente esecutivo, ma mai attuata. Nel caso di sovraffollamento, le persone in attesa di identificazione potranno essere trattenute anche in «strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’autorità di Pubblica Sicurezza», prevedendo quindi forme di trattenimento anche in strutture detentive.

La parola ora passa al Presidente della Repubblica, mentre il Parlamento ha 60 giorni per convertire in legge il decreto, apportando eventuali modifiche a un testo che, in seno alla maggioranza, sembra non suscitare molti dubbi. Ma ancor più del passaggio legislativo, saranno con ogni probabilità le code giudiziarie a segnare questo provvedimento.