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Nuova Caledonia verso il referendum per l’indipendenza, ma Parigi non molla

La storia della Nuova Caledonia si sta avvicinando a un punto di svolta: il referendum di autodeterminazione del 4 novembre 2018 segnerà il culmine di un processo lungo più di trent’anni. Sono stati gli accordi di Matignon a preservare la pace civile tra il 1988, l’anno degli scontri più accesi fra popolazione locale e forze militari francesi, e i giorni attuali.

Ora il voto popolare dirà se questo possedimento d’oltremare francese nell’Oceano Pacifico diventerà lo Stato più giovane del pianeta, o se continuerà invece a far parte dell’amministrazione transalpina. Negli ultimi decenni, la società della Nuova Caledonia si è trasformata. È diventata sempre più multiculturale. In cittadine come Noumea, i giovani di diverse comunità si sono abituati a vivere fianco a fianco, sebbene persistano forti differenze sociali fra i nativi e chi proviene da fuori. Sono i numeri impietosi a stabilirlo: nel 2009, solo il 12% degli studenti kanaki delle scuole secondarie ha superato il diploma di maturità rispetto al 54% degli studenti di origine europea, e il potere economico viene detenuto saldamente dalla componente bianca presente sulle isole.

La popolazione kanaka, autoctona, per la prima volta negli ultimi anni è divenuta minoranza rispetto agli oriundi provenienti dalla Francia, e questo pare sbilanciare il referendum verso un no all’indipendenza che al momento si attesterebbe attorno al 60%.

La Nuova Caledonia è dotata di uno status speciale ed è amministrata da un Alto Commissario. Il Governo viene esercitato da un Congresso formato dai componenti delle assemblee provinciali, per un totale di 54 membri. Nel Parlamento francese, la Nuova Caledonia, che conta poco più di 250 mila abitanti, viene rappresentata da un senatore e due deputati.

L’arcipelago è stato scoperto da James Cook nel 1774 che lo battezzò in quel modo perché le isole gli ricordavano la Scozia, anticamente chiamata proprio Caledonia. Dal 1864 ai primi anni del ventesimo secolo fu una delle principali colonie penali di Parigi.

La Epknc, la Chiesa protestante dei Kanaky della Nuova Caledonia, in cui si riconosce circa il 10% degli abitanti dell’arcipelago del Pacifico, e che come la Chiesa valdese fa parte della Cevaa, la Comunità di chiese in missione, ha in questi anni giocato un ruolo importante nel traghettare l’arcipelago in un processo di maggiore autonomia da Parigi, e al contempo si è fatta portavoce senza tregua di un dialogo sereno e maturo fra le parti

È in questo contesto che si è tenuto nelle scorse settimane il Sinodo generale della Chiesa protestante Epknc, organizzato quest’anno a Montravel, una delle parrocchie di Grand Nouméa, durante il quale è stato proposto e approvato un documento  che era stato reso noto alcuni mesi prima: «E’ il tempo delle scelte importanti e delle decisioni politiche, sia che prevalga la volontà indipendentista che il suo contrario. La Chiesa sente la responsabilità di accompagnare i cittadini in questo percorso. Ha fiducia nei leader politici che hanno il pesante compito di portare i dibattiti fin in seno alla nostra società, promuovendo una democrazia di condivisione quanto mai necessaria». Segue un excursus storico delle posizioni assunte dalla chiesa protestante negli anni, con particolare riferimento alla denuncia, nel 1979, dei misfatti della colonizzazione, soprattutto a danno della popolazione kanaka. «La visione di un destino comune impegna tutte le comunità cristiane del nostro Paese: un processo che mira a formare un’identità matura in grado di superare crisi e perturbazioni, e che vuole contribuire alla capacità di apertura verso gli altri dei cittadini, tutti insieme per la costruzione di un destino comune».

Un quarto delle riserve mondiali di Nichel si trova qui. Elemento fondamentale per la fabbricazione dell’acciaio inox, delle monete, delle batterie, dei vestiti, dei cosmetici e di molto altro ancora. il Nichel ha un’enorme valore industriale (100 mila tonnellate annue estratte, un quarto del totale mondiale) e il business è ovviamente in mani francesi, fra le proteste per l’inquinamento correlato alla presenza di aziende metallurgiche, accusate di danneggiare la delicata e preziosa barriera corallina e in generale l’equilibrio flora-faunistico dell’area. Le grandi manovre politiche hanno inizio.

Non a caso il presiedente Macron è sbarcato in pompa magna a Noumea il 3 maggio, per una intensa tre giorni di incontri per far sentire la vicinanza e la voglia della Francia di non perdere queste terre in posizione strategica a fianco dell’asse indo-cinese. Macron al suo fianco ha voluto fra gli altri proprio il pastore François Clavairoly, presidente della Federazione protestante francese, a suggellare l’importanza della chiesa protestante locale quale attore sociale ascoltato e rispettato. Il protestantesimo ha una lunga storia a queste latitudini: dopo la partenza della London Missionary Society, la prima a evangelizzare la popolazione locale all’inizio del XIX secolo, dal 1853 la Nuova Caledonia diventa un possedimento transalpino.

Se la maggioranza dei 275mila abitanti della collettività voterà per l’indipendenza, la Nuova Caledonia sarà il primo territorio francese a separarsi dal paese dal 1980, quando ottenne l’indipendenza Vanuatu.